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La conca e la tina

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Quando si andava alla fonte a prendere l’acqua e a lavare i panni

di Flora Delli Quadri (da altosannio.it)

10 febbraio 2020

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In Abruzzo e in Molise questi due recipienti, che appartengono alla tradizione del rame e che erano presenti fino a qualche anno fa in tutte le case, meritano, a mio avviso, una precisazione semantica. Quando dal Molise e dall’Alto Vastese si passa nel pescarese o nel teramano il recipiente tipico che caratterizza la cultura abruzzese nel mondo, che a sud chiamiamo “tina”, cambia nome e diventa “conca”. A mio avviso la distinzione c’è ed è la seguente:

“Conca” in italiano indica una cavità (conca, concavità nel terreno); nel nostro caso, un recipiente concavo, più largo che alto, dall’imboccatura larga. Tale oggetto, per la sua forma, era (ed è) adatto a contenere non tanto i liquidi quanto i solidi: panni da lavare o lavati, i pomodori da lavare prima della lavorazione, ecc…

Il recipiente chiamato “tina”, al contrario, ha, sì, il fondo concavo, ma il restringimento che la caratterizza ne modifica totalmente la forma e la rende più simile ad un’anfora che ad una conca. I due manici inseriti ai lati, poi, accentuano l’uso che se ne fa, cioè di contenitore di liquidi, in particolare acqua.

Tra i due termini quello più conosciuto e riportato sui dizionari è, ovviamente, “conca”, il cui significato è il seguente: “Conca – Recipiente capace dall’imboccatura molto larga. Sinonimo: tinozza = conca del bucato” (dal dizionario Sabatini Coletti). Ne consegue, a rigor di logica, che il termine “tina” anche se di uso locale è il più adatto a descrivere l’uso che si fa dell’oggetto. Inoltre l’assonanza con la parola “tino” rende l’equivalente femminile del più noto omonimo maschile più adatto a descrivere questo famoso recipiente che è diventato il simbolo degli abruzzesi nel mondo.

di Flora Delli Quadri (da altosannio.it)

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