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“Sub iugum” tra umiliazione e catarsi

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Una lista dei principali episodi storici, tra cui le “Forche Caudine”

di Massimiliano Visalberghi Wieselberge (*) (da percevalasnotizie.wordpress.com)

14 gennaio 2020

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Il cosiddetto “passum sub iugum” (“passaggio sotto il giogo”) fu una pratica imposta nell’antica Italia in cui una o più persone erano costrette a passare letteralmente sotto un giogo agreste, oppure sotto una teoria di lance disposte a guisa di simbolica porta. I nemici sconfitti, ad esempio, venivano fatti passare sotto un giogo costruito con aste di lance. Lo scopo era quello di infliggere una umiliazione ma probabilmente si trattava anche di un gesto rituale compiuto al fine  di rimuovere la “colpa del sangue”.
Sia i Romani che i Sanniti costrinsero i nemici sconfitti, resi prigionieri a passare sotto un giogo formato da lance (cfr Festo 297; Trogo, Historiae Philippicae 38.152.)  È tuttavia plausibile che tale pratica sia nata come una forma di espiazione.  Esaminiamo ad esempio il noto racconto di Tito Livio relativo al famoso duello tra i tre fratelli Orazi contro i tre fratelli Curiazi. L’ultimo degli Orazi, il vincitore, uccise sua sorella, colpevole ai suoi occhi di aver pianto la morte dell’amato marito, appartenente alla famiglia dei Curiazi, piuttosto che per i propri fratelli Orazi. Colpevole di un tale omicidio, al posto della pena capitale l’Orazio vincitore fu obbligato a passare sotto un fascio allo scopo di rimuovere la colpa, unico modo perché potesse rimanere in seno alla società romana (Livio, I,24-26).

Lo storico W. Fowler nei primi del Novecento interpretò questa pratica come un mezzo per rimuovere un “tabù” (sacer). La spogliazione dei beni ed il passaggio sotto il giogo, dunque avevano caratteristiche catartiche, atte a purificare, tracciando un parallelismo interessante che avvicina il gesto ad una fase dal carattere “iniziatico”.  Fowler identificò un simile bisogno di purificazione nel rito che accoglieva il rientro dei soldati romani nella città, i quali venivano fatti passare sotto la Porta Triumphalis nel Campus Martius: anche questo gesto era ritenuto una pratica di espiazione e purificazione al pari dell’abbandono delle armi dentro la zona sacralmente recintata, il pomerium (Fowler, 1917).

La pratica tuttavia è attestata soprattutto in ambito bellico al fine di infliggere una mortificazione, e quasi sempre in ambito italico, dove forse rappresenta uno specifico habitus culturale (Trogo, Historiae Philippicae, 38.152f). Vi sono solo alcune eccezioni, che potrebbero però riprendere tale usanza da parte del nemico nei confronti dello sconfitto italico.
Qui di seguito, un elenco dei principali episodi:
• 459 a.C – I Tusculani assediati dagli Equi vincono con l’aiuto romano e costringono i perdenti sotto il giogo:
“Aequi inermes nudique omnes sub iugum a Tusculanis missi sunt” (Livio III.23.5)
• 457 a.C. –  Gli Aequi vengono fatti passare dal comandante romano Cincinnatus sotto una lancia che fungeva da giogo (Liv. III.28.10; 67.6. Cf. Flor. I.5.13 Val. Max. II.7.7.). Analogo episodio, sempre relativo agli Aequi, si verifica fuori della città di Corbio (Dion. Hal. Ant. Rom. X.20.7; XXIV.6-8; Liv. III.28.10; 67.6; Flor. I.5.13 Val. Max. II.7.7)
• 443 a.C. – Ancora gli Aequi, stavolta ad Ardea (Liv. 4.10.4; 10.7)
• 321 a.C. – Il caso più famoso del “sub jugum” è decisamente l’episodio delle cosiddette “Forche Caudine”, tanto da diventarlo per antonomasia. Durante la Seconda Guerra Sannitica i Romani, intrappolati in uno stretto valico, dopo tre giorni si arrendono ai Sanniti di Ponzio, subendo l’umiliante pratica:
“I consoli furono i primi a esser fatti passare seminudi sotto il giogo; poi, in ordine di grado, tutti gli ufficiali vennero esposti all’infamia, e alla fine le singole legioni una dopo l’altra. I nemici stavano intorno con le armi in pugno, lanciando insulti e dileggiando i Romani. Molti vennero minacciati con le spade, e alcuni furono anche feriti e uccisi, se l’espressione troppo risentita dei loro volti a causa di quell’oltraggio offendeva il vincitore.“
Tito Livio fa ancora di più per rimarcare la gravità dell’episodio, esponendo lo stato dei vinti:

” Una volta usciti dalla gola, pur sembrando loro di vedere per la prima volta la luce come se fossero emersi dagli inferi… avviliti e mesti, tanto silenziosamente camminavano, come fossero diventati muti. Il fiero carattere romano era prostrato, e insieme alle armi aveva perso anche il coraggio. Nessuno aveva avuto la forza di ricambiare il saluto, di rispondere, di aprir bocca per lo sgomento, come se portassero ancora al collo il giogo sotto il quale erano stati fatti passare. La vittoria ottenuta dai Sanniti non era stata soltanto clamorosa, ma anche duratura nel tempo, perchè avevano privato il nemico non tanto di Roma (come in passato i Galli), quanto piuttosto della virtu’ e dell’orgoglio romano.”
(Livio, IX, 6)
Appiano aggiunge:

“Quando la notizia di questa calamità raggiunse la città ci furono lamenti e pianti, come un lutto pubblico.  Le donne piangevano per coloro che erano stati salvati in questo ignominioso modo, come avrebbero fatto per i morti.  I senatori stracciarono le loro tuniche a strisce viola.  Feste, matrimoni e tutte le cerimonie vennero proibite per un anno intero, fino a che tale calamità non fosse stata espiata. Alcuni dei soldati di ritorno si rifugiarono nei campi per vergogna; altri entrarono in città di notte."
(Appiano, Storia di Roma – Guerre Sannitiche, VI)

• 320 a.C. – Manco a farlo apposta un anno dopo, a Luceria, il comandante romano Papirius Cursor riuscì vendicare la sconfitta romana da parte dei Sanniti nel passo caudino: ordinò che i 7.000 Sanniti catturati fossero fatti passare sotto il giogo allo stesso modo dei Romani l’anno precedente (Livio IX.15.6-9; XVI.12; XXII.14.12; XXV.6.12; Orosio III.15.9)
• 308 a.C. – Nuova sconfitta dei Sanniti e dei loro alleati vicino ad Alifae. I soldati sanniti vengono spogliati e inviati sotto il giogo come da accordo (deditio) stipulato con la resa
(Livio IX.42.7- 8)
• 294 a.C. – Ad Interamna, il console Atilius riesce a battere i Sanniti, obbligandoli a passare nuovamente sotto il giogo:
“quod captivos sine pactione sub iugum misisset” (Liv. X.36.14)
• 293 a.C. – Analoga sorte per i Sanniti a Duronia (Eutropio II.9, Livio X.39.4)
• I Guerra Punica.  Frontino ci riporta un episodio di sub jugum imposto ai Romani da parte del comandante cartaginese, di nome Annibale (data da confermare). (Frontino. Stratagemmata IV.1.19)
• 215 a.C., II Guerra Punica. Anche gli Hirpini avevano colto l’occasione offerta dalla presenza di Annibale Barca per infrangere i loro obblighi verso Roma, ma il ritiro del condottiero cartaginese verso la regione del Bruttium diede ai Romani un’opportunità per riconquistare le città di Vercellium, Vescellium e Sicilinum. In totale 125 capi furono decapitati e più di 5.000 prigionieri furono inviati “sotto la lancia”:
“supra quinque milia captivorum sub hasta venierunt.” (Livio XXIII 37.13)
• 155-133 a.C., Guerre Numantine. Vegezio ci informa che:
“Africanus quidem Scipio, cum adversum Numantinos, qui exercitus populi Romani sub iugum miserant.”
“Scipione l’Africano, in procinto di combattere contro i Numantini che avevano inviato eserciti del popolo romano sotto il giogo.”
(Vegezio, Epitome Rei Militaris. I.1 5)
• 111-110 a.C., Guerre Giugurtine.  Troviamo una simile pratica ma in questo caso messa in atto da Giugurta nei confronti dell’esercito romano al comando di Aulo Postumio, sconfitto in battaglia: “fece passare i soldati romani sotto a 2 lance incrociate” (Sallustio. Bellum Iugurthinum. 38.9; 49.2)
• 107 a.C., Battaglia di Aagen. I Tigurini, una tribù dei Celti Elvezi, sotto il comando di Divico annientarono un corpo di spedizione romano comandato dal console Lucio Cassio Longino. I superstiti furono costretti all’umiliazione del giogo. Fu il “casus belli” utilizzato da Cesare alle soglie della Battaglia di Bibracte contro gli Elvezi, nel 58 a.C, come lui stesso racconta:
(Cesare, De Bello Gallico I.7.4; XII.5.7; cfr. Livio. Periochae 65; Orosio V.15.24)
• 62 d.C., Guerre Romano-Partiche.  Durante l’Impero di Nerone, un esercito romano viene battuto in Armenia dalle forze dei Parti; e costretto sotto il giogo (Svetonio. Nerone 39.1; Tacito. Annales. XV.15.4)
Questi ultimi episodi risultano interessanti, in quanto denotano una simile pratica anche utilizzata da popolazioni non italiche; se ancora possiamo vedere l’episodio di Annibale come un utilizzo di una pratica italica nei confronti degli “italici” Romani; le lance incrociate, invece, utilizzate da Giugurta fanno pensare ad una pratica affine ma di cultura differente.
L’episodio dei Tigurini potrebbe far riferimento, come nel caso di Giugurta, ad un rito dalle radici indoeuropee. oppure al riutilizzo di una pratica italica che umiliasse i Romani.
In Armenia, invece l’episodio lascia a dir poco sbalorditi.
O dovrebbe dar addito ad una maggiore indagine sul simbolismo della lancia, come del giogo/passaggio (janua)…

Bibliografia utile:
Fowler, W. W. 1913, ‘Passing under the Yoke’, CR 27.2: 48-51.
Halliday, W. R., 1924: Passing under the Yoke, “Folklore” Vol. 35, No. 1 (Mar. 31, 1924),
pp. 93-95 (https://www.jstor.org/stable/1255789?seq=1#page_scan_tab_contents)
Wickham. J., 2014, The Enslavement of War Captives by the Romans to 146 BC, Liverpool.
Massimiliano Visalberghi Wieselberge (*) (da percevalasnotizie.wordpress.com)

(*) Massimiliano Visalberghi Wieselberger è un archeologo e disegnatore archeologico che ha collaborato in scavi con varie Soprintendenze e Università.  Svolge per conto della UISP il ruolo di tecnico educatore culturale ed archeologico  tenendo laboratori, lezioni didattiche e conferenze sulle tipologie di archi tra Oriente e d Occidente, dalla Preistoria al Medioevo.  È consulente archeologico per alcune Associazioni di rievocazione e/o archeologia sperimentale. per cui prepara e sostiene didattiche collaborative, in nome della cooperazione culturale.
Pubblica su Academia.edu e per la rivista online Antrocom: Journal of Anthropology. Da quasi 10 anni è attivo nella divulgazione culturale su Facebook con lo pseudonimo “Max Berger” attraverso la diffusione di articoli, album fotografici con materiali archeologici e link di libri a tema storico-archeologico e antropologico.  Il suo motto è “Mai abbastanza”.

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