Stampa 

Intervista alla storica Aurora Delmonaco

Visite: 486

E’ in edicola il nuovo lavoro della scrittrice pietracupese “I lati del cerchio. Una famiglia napoletana”

di Barbara Bertolini (da molisedautore.blogspot.com – 12.12.18)

12 dicembre 2019

Back 

La biografia di Aurora Delmonaco l’ho già dovuta stilare una volta, esattamente vent’anni fa per il libro che scrivemmo insieme Rita ed io sui molisani illustri che uscì nel 1998 con il titolo “Molisani, milleuno profili e biografie”. E il milleuno non era un numero a caso ma davvero trovammo, con fatica, più di 1000 biografie di personaggi che avevano contribuito a dare lustro al Molise. La breve scheda di Aurora, che era una delle poche donne molisane inserite nel dizionario, così recita:

«Dopo la laurea conseguita a Napoli, insegna storia e filosofia, poi è preside nei licei. E’ nominata quindi responsabile della sezione didattica dell’Istituto campano per lo studio della Resistenza. Ha tenuto seminari e conferenze e corsi in tutta Italia sull’insegnamento della storia.  Ha pubblicato un interessante volume sul suo paese di origine, Pietracupa, nella collana Biblioteca storica meridionale, diretta da Guido D’Agostino: Quelli della pietra cupa – Mille anni di una comunità molisana: storie ed immagini (Napoli 1989), frutto di una puntigliosa ricerca sul posto».

Nella nostra scheda biografica è rimasto un punto interrogativo perché non sappiamo dove sei nata e quando.  Magari se ci racconti i tuoi spostamenti...

Per farla breve, sono una mezzosangue: mio padre molisano (a Pietracupa la famiglia “de lo monaco” era presente dalla fine del XV secolo), la famiglia Smiraglia di mia madre era napoletana almeno dal 1700. Sono nata a Napoli nel remoto 1940, quando scoppiò la guerra. Per sottrarmi dai bombardamenti incalzanti fui affidata a una sorella di mia nonna che mi tenne con sé a Pietracupa fino alla fine del 1944, insieme a mia sorella Amelia. I miei primi ricordi, ancora molto vivi, risalgono a quel tempo. Poi sono vissuta a Napoli, lì ho studiato laureandomi in filosofia, lì ho insegnato e mi sono sposata, ancora vivo vicino a Napoli. Però ho passato tutte le vacanze estive, tranne il mese dedicato al mare, a Pietracupa dove ho ancora la casa dei miei avi, piena di memorie del passato: è il mio luogo dell’anima a cui sono ritornata, e ritorno, appena possibile.

Come ti sei accostata alla Storia? Ē stata la tua nomina a responsabile della sezione didattica per lo studio della Resistenza?  

Il mio lavoro nell’Istituto campano è venuto quando già avevo maturato la passione per la storia e, sottolineo, per il suo insegnamento. La passione mi è venuta molto presto, da ragazzina. Leggevo libri di storia e pensavo: tutte queste persone sono state vive! E cercavo di immaginare tutti coloro che nessuno ricorda. Così nel 1977 mi venne l’idea di scovarne almeno alcuni nei registri parrocchiali di Pietracupa. Cito dalla prefazione del mio “Quelli della pietra cupa”, che tu conosci: “Quando ho sfogliato i registri delle morti e dei battesimi, ho avuto la prima scossa. Tutte le notazioni degli antichi parroci evocavano cose viste e sentite, e queste si intrecciavano con le categorie storiche del mio lavoro quotidiano…”  Mentre la ricerca cresceva fui invitata a Rimini, dove c’era un convegno nazionale sulla storia locale; là parlai del lavoro su Pietracupa, e dopo di ciò l’Istituto campano chiese al Ministero della Pubblica Istruzione di distaccarmi come responsabile della sua Sezione didattica. Sono rimasta a lungo nella Rete degli Istituti della Resistenza di cui faceva parte l’Istituto di Napoli, fino a diventare a Bologna presidente del Laboratorio nazionale per la didattica della storia, e a Milano presidente della Commissione didattica nazionale e membro del Consiglio direttivo dell’Istituto nazionale per la storia del movimento di liberazione in Italia. Nel frattempo ero anche preside di liceo. Una vita densa, a cui ho tenuto testa facendo anche la moglie e la madre. Sempre nel libro “Quelli della pietra cupa”, nei ringraziamenti ce n’è uno per “i miei familiari che nel corso degli anni hanno convissuto con cinquemila pietracupesi” (tanti sono quelli che ho incontrato nella ricostruzione degli alberi genealogici, perché l’impianto corale di una storia per me non ha senso se non riesco a scoprire in esso le vite individuali). Ma li ringrazio per avere convissuto anche con altri passati.

Aurora Delmonaco è una storica riconosciuta ormai a livello nazionale. Hai varie pubblicazioni al tuo attivo e, anche quando scrivi romanzi, come l’ultimo, “Le Querce del Cantone, memorie della pietra cupa”, lo fai con la lente deformata della storica. I fatti devono essere raccontati con finezza ed ingegno, ma calati nel loro luogo reale, certo, e il racconto deve assolutamente seguire la regola della verifica storica. Ē vero? 

Non direi che sono una storica, gli storici sono ben altri, ma un’appassionata ricercatrice di storia. Però la passione non basta. Occorre usare con onestà e consapevolezza gli strumenti della ricerca, e questo ho cercato di fare. Perché se avessi trascurato la cura del mestiere, allora sarebbe venuto meno lo scopo principale della mia ricerca, dare alle donne e agli uomini del passato, i “senza storia” e i “senza vice”, la possibilità di tornare alla luce della memoria nella loro reale, irripetibile singolarità e negli intrecci delle vicende vissute. Quella possibilità, nelle mie mani, è un ritorno alla vita per i morti e una speranza per quelli che sono immersi nella storia dei nostri tempi. 

Ci puoi descrivere le ricerche storiche che ti hanno dato maggiori soddisfazioni 

Premetto che non ho mai scritto per l’accademia, non ho mai cercato crismi ufficiali. Ho scritto per coloro che, anche oggi, sono i “senza voce” della storia. Quando uno mi dice, dopo trent’anni che è uscito “Quelli della pietra cupa”, che per lui è come la Bibbia, quando persone che non conoscono il Molise mi dicono che l’hanno letto più volte, quando mi chiedono ripetutamente di farne un’altra edizione perché da anni è esaurito, è allora che mi sento appagata, anche se molti amici storici, e qualcuno di essi è davvero importante, mi hanno fatto a suo tempo elogi lusinghieri. Mi è piaciuta anche l’osservazione di un antropologo, che ha scritto che questo libro non è collocabile negli schemi perché la narrazione si avvale della ricerca storica e dell’immersione simpatetica negli strati profondi della realtà popolare. Altre mie ricerche hanno ricevuto gradimento, quella sul “Volto oscuro della citta” (la “plebe” di Napoli) quella sul rapporto fra Napoli e l’Italia settentrionale nella Resistenza (“Venti giorno,venti mesi, venti, anni”), “La signorina a quadretti e le altre lavoratrici insegnanti” su donne, scuola, sindacato, e altre. Una, che mi ha appassionato molto, è stata invece una delusione. Si tratta di un piccolo libro, “Centonovantuno cappotti”, sui ricordi di un garibaldino di Terra di Lavoro, in Campania. Uscì nel 150° dell’Unità d’Italia, ma proprio in quel momento esplodeva la moda neoborbonica, ed è rimasto nell’ombra.

Parlando di Pietracupa ho notato che voi due sorelle, Aurora e Elvira vissute altrove, e che passavano solo le estati dai nonni molisani, si innamorano del loro paesino pittoresco e scrivono tutte e due romanzi proprio su questa pietra molto particolare a distanza di poco. E’ una sfida? Una rivalità? Una rivalsa? O è semplicemente il grande amore che avete entrambe per i vostri nonni? 

No, assolutamente, non ci sono rivalità fra me ed Elvira. Lei è una romanziera “pura”, io una narratrice di storie nella Storia, anche se entrambe abbiamo appreso da nostra madre, una poetessa, il piacere di costruire con le parole un mondo. Ho sempre desiderato che Elvira si decidesse a scrivere, ma lei ha cominciato quando ne avevo quasi perduto la speranza. E avevo ragione, direi. Quanto a Pietracupa, è origine e ispirazione delle nostre narrazioni, anche se di tipo diverso, perché, fra l’altro, raccontarla è un mezzo per opporci alla scomparsa di un “genius loci” che ancora parla a chi sa ascoltarlo.

Chiedo anche a te, come a tua sorella, chi è Aurora Delmonaco? 

Oggi sono una moglie, una madre, una nonna, e continuo a trovare gioia nella scrittura. Recentemente ho ridato vita ai miei nonni materni in un libro, “Amelia e Stanislao”, che è un’edizione riservata intorno a cui si sono riuniti i figli dei loro figli, e le nuovissime generazioni. Ho ricostituito così legami familiari che la vita aveva disperso. Adesso il libro sta diventando un romanzo storico, ma non so ancora con chi, e se, lo pubblicherò. Vivo con mio marito fra il litorale domizio, a due passi dal mare, e le verdi colline molisane, viaggiamo per esplorare luoghi nuovi, e soprattutto per incontrare le figlie e i nipoti, i nostri grandi amori lontani. Sono quella che sono sempre stata, una donna paga di ciò che la vita le ha dato, che però non può essere felice se sono oppressi e infelici altri esseri umani. Ciò rende oscuro questo mio tempo, e ho soltanto parole per una battaglia che credo necessaria. Però ho sempre creduto nella forza delle parole.

Personalmente amo molto il libro già citato, Le querce del Cantone, vi ho trovato un linguaggio forbito e accattivante che mi ha inchiodata alla storia e, inoltre, sapevo che quello che andavo leggendo era realmente accaduto, quindi istruttivo per me, appassionata di storia. Sono sicura che ha avuto molto successo. Puoi parlarne? 

Questo libro è una via di mezzo fra storia e narrazione libera: ci sono interviste a pietracupesi intercalate a racconti in cui alcuni dei personaggi sono liberamente costruiti su accertate prove documentali. Perché la scrittura storica e quella narrativa non solo non si oppongono, ma si rinforzano reciprocamente. Se si dice per Eco “ciò di cui non si può teorizzare, si deve narrare”, chiedendo scusa al grande semiologo dico, molto modestamente, da vecchia insegnante, “ciò che si deve dire della storia, se è troppo complicato da teorizzare si può narrare”. Ho autoprodotto questo libro per la comunità pietracupese, quindi non ha avuto una larga diffusione editoriale. Con i suoi proventi, però, ho pubblicato un opuscolo “Invito a Pietracupa – Invito al Molise” che è stato, unica pubblicazione molisana, all’Expo 2015. 

E, inoltre, parlando di Storia, quella con la “s” maiuscola: tu sai che la vogliono far sparire dalle materie insegnate nelle scuole. Cosa ne pensi? 

Questo è un argomento su cui ho scritto molti testi di pedagogia e didattica, e mi è difficile parlarne in poche righe. Tuttavia ci provo. Ho sempre criticato il modo noioso, mnemonico, spesso privo di senso in cui troppe volte si insegna questa materia, proponendo una visione coinvolgente, che rendesse gli studenti di ogni età capaci di rivolgere domande alla storia e di cercarne le risposte con gli strumenti appropriati. Ho fatto anche parte della Commissione De Mauro per la riforma della scuola, ma poi tutto il nostro lavoro, entusiasta e gratuito, è finito nel nulla con la ministra Moratti. Il problema ha trovato una soluzione drastica, prima accorciando le ore di storia, ora addirittura proclamandone l’inutilità, e tutto questo mentre l’ignoranza diffusa afferma che “la storia vera non è quella degli storici, che è sempre storia scritta dai vincitori”. Il che è un’assoluta sciocchezza. Oggi non è più la storia che si fa memoria, ma è la memoria frastagliata, confusa, spesso d’accatto, condizionata e falsata, che vuole farsi storia. Di fronte a ciò, se uno stato pensa che sia inutile la storia nella scuola, significa che sta tagliando alle nuove generazioni ogni possibile via per un decoroso, civile futuro.

di Barbara Bertolini (da molisedautore.blogspot.com – 12.12.18)

Back 

cultura