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Monte Vairano, Citta sannita, scoperta e spiegata da G. de Benedittis

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Riprendono gli scavi della città distrutta dai Romani. Con i soldi di una banca e di una fondazione.  Su youtube la lezione del Professore

di Franco De Santis (da primonumero.it)

27 novembre 2019

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"Questa é Monte Vairano che ci permette per la prima volta di sapere come vivevano i Sanniti......" (G. De Benedittis) 

https://m.youtube.com/watch?feature=youtu.be&v=jlYIdjZ0l9U 

Quasi tre anni fa la stupenda scoperta: “Campobasso era una grande città sannita”. Lo annunciò l’archeologo, nonché professore all’Unimol, Gianfranco de Benedittis. Entusiasmo, adrenalina a mille, voglia di continuare a scavare. Come al solito, mancavano le risorse. E quindi per un periodo gli scavi sono stati interrotti ma da qualche mese sono ripresi grazie soprattutto ai finanziamenti della Banca Popolare delle Province Molisane che continua a credere tanto nell’opera di ricerca e recupero della città perduta.

Ad annunciare i lavori in corso è lo stesso titolare della banca, Luigi Sansone: “Il prof. Gianfranco De Benedittis si è avvalso di manodopera specializzata nel settore ma anche del contributo di studenti e volontari. La nostra banca da sempre è vicino all’iniziativa per ridare alla luce una città di cui si era persa memoria. Una mano quest’anno l’ha data la Fondazione Terzo Pilastro, che ha erogato un contributo significativo che ha aiutato molto per la prosecuzione degli scavi. Il nostro grazie va anche alla Società Italiana per la Protezione dei beni culturali che ha patrocinato gli scavi. Noi abbiamo intenzione di continuare su questo percorso, speriamo nell’aiuto di istituzioni e privati”.

LA STORIA. Monte Vairano, che si estende tra Campobasso, Busso e Baranello, è un abitato sannitico che risale a prima del VI secolo a.C., ma che trova la sua formazione nel IV. Chi meglio del prof. De Benedittis può tracciarne i dettagli? Ecco il suo racconto entusiasmante: “La montagna viene strutturata urbanisticamente con la volontà di dare a questa area la dimensione di una città: si è riusciti a trasformare 50 ettari di terra in un sistema abitativo che si distribuisce su più terrazze artificiali per risolvere il problema della conformazione dell’area fatta di colline che salgono e scendono. Lungo queste pendenze sono state sistemate strutture murarie in opera poligonale, molto robuste, su cui sono state costruite delle case”.
A sorprendere molto è la dimensione delle strade:“C’è sistema viario complesso, un asse principale con marciapiedi, drenaggio dell’acqua, selciato stradale che da solo ha una dimensione molto interessante, la sua larghezza è superiore alle strade romane di Altilia, per esempio”.

Ma cosa è successo oltre duemila anni fa? Come è possibile che di questa città perduta non si sappia ancora neanche il nome? “Si tratta di una scoperta che ci permette di parlare per la prima volta di una cultura scomparsa, una di quelle culture perdenti che la damnatio memoriae cancella dalla storia. Un documento unico nel suo genere, grazie agli scavi per la prima volta possiamo parlare di come i Sanniti vivevano”. Lo scavo di Monte Vairano è iniziato negli anni settanta, dunque da una quarantina d’anni è sotto l’attenzione degli studiosi. Soprattutto di de Benedittis, che annuncia la presenza di “un circuito murario di tre chilometri con tre porte, di cui una molto grande che i contadini chiamavano Porta Vittoria”.

LA LEGGENDA. E qui, per un attimo, la storia lascia il passo alla leggenda. A raccontarla è l’archeologo campobassano: “I contadini della zona raccontano che all’epoca della guerra tra Sanniti e Romani, una ragazza sannita per incontrare il suo fidanzato romano apre la porta e i romani approfittano per entrare in città. La ragazza viene uccisa, dopo la vittoria il soldato la ritrova morta e si uccide a sua volta. Si narra addirittura che il suono determinato dal vento in questa zona provenga in realtà dalle voci dei due giovani che giocano e si rincorrono nel bosco”. Un’affascinante quanto romantica ‘favola’ che ci riporta nella notte dei tempi…

In chiave storico-commerciale, c’è da aggiungere che l’antica Campobasso intratteneva rapporti non solo con il territorio circostante ma con buona parte del Mediterraneo. Sono stati trovati resti sorprendenti: “Anfore rodie, altre che vengono dalla Tunisia, monete dalla Dalmazia, dalla Spagna, dalla Francia. Questa città aveva una capacità commerciale di grosso respiro probabilmente legata all’argilla presente sul territorio ma anche e soprattutto al commercio della lana che era merce di scambio preziosa. Questa è la chiave di lettura che ci fa capire perché questa città è ricca di materiali”.

L’ATTO FINALE. L’antica prosperità viene però distrutta per sempre nell’ultimo atto della guerra: “I Romani decidono di cancellare dalla memoria storica i Sanniti. Questo viene raccontato dai classici ma archeologicamente non era stato mai visto in modo concreto. La cosa più interessante è il livello di distruzione: nel I secolo, i vincitori non solo distruggono le case ma anche tutti gli elementi che possano permettere alla città di sopravvivere, comprese le cisterne di acqua e le strade che vengono ricoperte volutamente dalle macerie provenienti dalle case incendiate”. Nel disegno dei conquistatori latini c’era proprio la volontà di impedire la sopravvivenza e l’eventuale recupero della città. Che dunque muore, scompare, e non riusciamo a sapere come si chiamasse.

IL NOME. L’ipotesi numero uno rimane Aquilonia: “Può darsi – chiosa de Benedittis – ma è prematuro, aspettiamo un documento epigrafico per parlarne in modo più chiaro. Per il momento accontentiamo delle grandi scoperte fatte, come una cisterna profonda tre metri, larga nove per sette e ancora funzionante, veniva riempita d’acqua attraverso canale artificiale. Come detto, in questo scavo dovunque andiamo c’è la conferma di questa terribile distruzione. Una città che scompare rapidamente e improvvisamente. Lavorare sotto due metri di terra non è facile ma ci accompagna una passione incredibile. L’obiettivo è riportare alla luce una città che dovrebbe essere ancora intatta”.

di Franco De Santis (da primonumero.it)

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