Quando nascere donna era una condanna

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I racconti di Vincenzo Colledanchise hanno la maturità che solo il trascorrere del tempo può produrre

di Vincenzo Colledanchise

5 novembre 2019

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Nascere donna nel mondo contadino era una condanna per dover affrontare una vita piena di rinunce. Avere una figlia femmina era considerata quasi una disgrazia, infatti, quando ci si sposava si augurava agli sposi ” Auguri e figli maschi ”!

Quando giungeva il fidanzamento, spesso era imposto dai genitori per interessi e non le era consentito ne’ parlargli né avvicinarlo. Se uscivano insieme potevano farlo solo sotto vigilanza della mamma o di una sorella.

L’impegno economico più gravoso per le ragazze era farle la dote dei panni che avrebbe portato a casa del marito. Un marito che a stento conosceva e che la chiamava non per nome ma “uagliò” usandola egoisticamente come una cosa.

Era spesso punita con botte e con epiteti irrepetibili.

La femminilità veniva esaltata con il taglio delle trecce portate da ragazza per passare poi al “tuppe”, capelli raccolti con una spilla.

Divenivano serve di tutti in famiglia, anche di suoceri o cognati che vivevano sotto lo stesso tetto.

Le prime ad alzarsi e le ultime a coricarsi. Avevano però forza d’animo e spirito di sopportazione. Erano le custodi della pace familiare, sopportando sempre tutto per il bene dei figli.

(Foto: L' ava di casa D'Amico- Toro)

di Vincenzo Colledanchise

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