Lettera al marito emigrato

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I racconti di Vincenzo Colledanchise hanno la maturità che solo il trascorrere del tempo può produrre

di Vincenzo Colledanchise

19 settembre 2019

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Caro marito, noi stiamo tutti bene e così speriamo di te.

Appena sei andato via tu, questa casa è diventata diversa, è come fossimo a lutto, siamo molto rattristati per la tua assenza e il tuo posto vuoto a tavola ci fa soffrire ancora di più.

Noi ti pensiamo sempre e preghiamo il Signore che ti faccia almeno stare bene in salute. Io non pensavo che questo nostro distacco ci avrebbe fatto soffrire tanto, se deve durare molti anni, è meglio che tu mi fai l’atto di richiamo, piuttosto che sentirmi come una vedova.

Io cerco di fare del mio meglio in campagna, ma certi lavori duri come arare coi muli, li può fare solo un uomo. I ragazzi mi aiutano, ma non voglio distrarli dagli studi.

Spero che anche senza di te la campagna ci dia un buon raccolto quest’anno. Cerco di fare tutta da sola, perché farsi aiutare da un uomo è cosa malvista dalla gente, che subito chiacchiera.

Dalle tue rimesse cerco di togliere quel poco che ci consente di vivere, oltre che impiegarli per le rette all’ Istituto per far studiare i ragazzi. Tutto il resto lo metto alla Posta, perchè al tuo ritorno possiamo comprarci la casa e nuovi terreni.

Anch’io ti penso molto e ti desidero molto e non c’è notte che non ti sogni. Insieme ai ragazzi, ti abbracciamo e ti mandiamo un grande bacio.

(Foto: l'addio degli emigranti di Frank Monaco)

di Vincenzo Colledanchise 

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