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Larino: il futuro è adesso

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L’idea, nata da associazioni e cittadini, è stata presa in considerazione dagli amministratori locali

di Giuseppe La Serra (da lafonte.tv)

19 giugno 2019

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“Chi ha visitato ed osservato attentamente i ruderi dell’Anfiteatro, delle Terme, del Pretorio ecc. non può contenersi dall’esclamare: “Qui di certo esisteva la grande e potente Larinum, di cui con tanto entusiasmo parla M. T. Cicerone nella Cluenziana, come vari altri scrittori”. Cosi Pasquale Ricci presenta l’amata città nel suo Fogli abbandonati del 1913. E sì! “la grande e potente Larinum!”.

Qualcuno ne potrebbe dubitare. Eppure ci sono autorevoli testimonianze che non lasciano dubbi. Il Tria, nelle sue Memorie storiche civili, ed ecclesiastiche della città, e diocesi di Larino del 1744, scrive: ”Veniva questa Città circondata da fortissime muraglie, e fino al presente se ne vedono stupendi spezzoni, e molto più frequenti per verso la parte Settentrionale, ed Occidentale, (…) Vi sono parimente le fabbriche di una Porta della Città, che tiene il nome di Porta Aurea, tramandato dalla fama a’ Paesani. Ella sta posta giù per Settentrione. Le sue fabbriche non sono tutte intere, e quelle che si vedono dimostrano fusse stata assai magnifica, e maestosa, e alla medesima si devono supporre uniformi le altre Porte”.

La Di Niro, nel 1982, ne dà una lusinghiera immagine: “… la vecchia Larino restò abbandonata per secoli assumendo man mano quell’aspetto di suggestiva desolazione che caratterizza le città morte e che solo un paragone certo azzardato e frettoloso, con Pompei ed Ercolano, potrà dare una idea efficace ed immediata”. E il tempo e l’uomo sono intervenuti su questa “città morta”.

Vincenzo Cuoco nella sua opera Platone in Italia, del 1924, racconta che: “Gli edifici dell’antica Larino sussistono ancora in parte. Ai tempi nostri vi si vedevano gli avanzi delle terme, di un pretorio, di un anfiteatro, di un tempio di Marte, di un altro di Giunone Feronia, ecc. (…) Ma di tali monumenti non si è avuta veruna cura. Chi scrive li ha visti rovinare di anno in anno, senza che né ai larinati, né al vescovo, che pur dovrebbe essere un uomo di qualche cognizione, né al duca di Larino, che pure ha quarantamila scudi all’anno, sia mai venuto in mente che il custodirli potesse esser utile e glorioso”. Il Mommsen arrivò a dire che le cause sono: “… e per l’incuria dei cittadini, che attraverso i secoli manomisero i gloriosi avanzi, e per la negligenza colpevole dei passati governi, i quali addirittura trascurano di valorizzare il patrimonio storico ed artistico di questo lembo di territorio”.

Questa “negligenza colpevole” ha permesso la rapina del patrimonio storico e interventi poco consoni alla natura dei luoghi. “Si seguita lo scavo tra li rottami di Larino antico, e per Jacovello si manda ad V. S. quello, che si è trovato ultimamente con alcune medaglie de bronzo, ed una de oro delo Imperatore Costantina, che io stimo assai rara” scrive nel 1519  un certo Barozzini, inviato dal marchese del Vasto a fare incetta delle preziose antichità.

Ambrogio Caraba nel 1851 riferisce del ritrovamento di “utensili domestici, e di arti, come vasi di bronzo con rilievi e di creta con pitture a ghirigori, e vasetti di vetro levigati o fusi a rilievo in forme o modelli, e (…) una scatola di bronzo con ferri chirurgici del più perfetto lavoro, e molto ben conservati, di cui fece acquisto pochi anni sono il Ch. Sig.r Friedlaender di Berlino. (…) un bellissimo Ercole di argento ed un Esculapio di bronzo che si conservano presso il ch.o Barone Magliano ed infine di corniole e di cammei, di braccialetti di bronzo e di armi; oggetti tutti che ogni giorno da queste rovine tornano alla luce”.

Si legge nelle Notizie degli scavi di antichità del 1885: “Poiché sul mercato antiquario di Roma furono messi in vendita da contadini, che erano stati occupati nei lavori della strada ferrata da Termoli a Campobasso, alcuni pezzi di lastra in bronzo con teste di grifi alati e con ornamenti di rotelle in rilievo, (…) dalla stessa necropoli provenne anche uno specchio che, unitamente ai pezzi di bronzo sopra indicati, fu comperato nel Museo Nazionale di Napoli”.

Ma, come abbiamo già scritto sulle pagine di questo giornale, questa è storia, oggi i larinesi desiderano una adeguata sistemazione e valorizzazione del patrimonio archeologico ancora presente. Le aree di villa Zappone, di via Jovine, del Foro e l’area alle spalle del tribunale devono essere zone archeologiche fruibili. Diversamente l’opera di tutela e conservazione praticata dal MiBAC risulterà essere inutile e vissuta ancora una volta come un furto, un esproprio, contemplato dalla legge, di un territorio, ma soprattutto, un amputare le radici di una comunità, un negare l’identità.

Gli errori del passato non siano di intralcio per il presente. È assurdo che una città con tale storia antica alle spalle, non abbia un museo riconosciuto e pubblicizzato dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali, un museo che faccia parte del “Polo Museale del Molise”. Il materiale rinvenuto durante gli scavi e quanto gelosamente custodito e conservato da privati cittadini, potrebbero dare vita ad una struttura museale di tutto rispetto. Statue, utensili, armi, monete, sono reperti che raccontano un passato, la cultura di un territorio.

È tempo di realizzare il futuro.

di Giuseppe La Serra (da lafonte.tv)

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