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“Cari piccoli borghi, se non fate rete le città vi divoreranno”

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Non si è mai vista una protesta dei sindaci dei paesi italiani che si stanno drammaticamente spopolando. Eppure, oltre alla lotta di classe, esiste anche la lotta tra territori

di Franco Arminio (da repubblica.it)

11 giugno 2019

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I paesi non fanno rete. Non si è mai vista una protesta dei sindaci dei paesi italiani che si stanno drammaticamente spopolando. Ogni paese cerca la sua via, il suo sostegno, quando lo cerca, quando lo trova.

I forti si fanno buona compagnia. I deboli si dividono e si fanno la guerra. In Italia c’è un conflitto non dichiarato tra il margine e il centro. Le Regioni forti vorrebbero tenere più soldi per gli affari loro e le Regioni deboli stentano a reagire.

Un artista di Roma o di Milano ha comunque più vita facile di un’artista che vive in un piccolo paese. In certi ambienti ci sono alleanze implicite che non ci sono in altri ambienti. Io facevo fatica a fare arrivare i miei pezzi sulle pagine dei giornali locali della mia provincia. Anche tra il mio paese ed Avellino c’era un conflitto centro-periferia. Devi essere davvero molto bravo per vincere la resistenza e poi la devi vincere ogni volta, perché la resistenza non finisce mai. Il paese non ti sostiene. Il paese non compra i tuoi libri. Non ti chiede di candidarti a sindaco nel caso gli viene il sospetto che potresti essere la persona giusta.

Chi vive nelle grandi città può non avere appoggi ma è difficile che abbia delle ostilità. Assenza di vento. Invece chi si muove nel paese ha sempre un vento contrario. Se il vento è leggero, come nel caso del giavellotto, magari ti aiuta anche ad andare più lontano. Altrimenti ti fermi e inacidisci sul posto. Conosco giovani musicisti bravissimi che non riescono ad uscire fuori dal muro del proprio territori. E così giovani attori e artisti. Quando ti proponi all’attenzione del centro sei sempre solo. E sei sospettoso, a volte la sfiducia finisce per tradire il tuo talento. Ho visto vite promettenti aggrovigliarsi nell’impazienza di risposte che non arrivano.

Il margine chiede e il centro non risponde. Magari accade qualcosa di simile tra Roma e New York. In questo caso il margine diventa Roma, la capitale si fa piccolo borgo.

Questa cosa è palese in televisione. La televisione racconta il margine sempre col filtro della miseria o della delinquenza o del residuo bucolico. Raro che si riesca a vedere un resoconto asciutto del margine, è come se i paesi non avessero diritto a essere raccontati per come sono, per come diventano giorno per giorno.

Il centro nemmeno se ne accorge dei suoi privilegi. E il margine perde di vista le sue mancanze. Sei senza ospedali e ti sembra normale, hai un medico rude e ignorante e ti sembra normale. Il professore è accidioso e ti sembra normale. Il sindaco vive altrove e nessuno glielo fa notare.

Il centro quando ti accoglie lo fa sempre un poco distrattamente, come se fosse impegnato in altro. Non sei della tribù, direbbe Caproni. In qualche modo i salotti esistono ancora, esistono delle vicinanze non dichiarate. Chi viene dal margine si muove sempre da solo. E se il centro un poco ti accoglie, aumenta l’invidia di chi dovrebbe sostenerti. Io da quando vendo un po’ di libri di poesie ho visto sparire quasi tutti i miei amici poeti, uno alla volta, implacabilmente.

Ecco, forse è il momento di aggiungere alla vecchia e mai risolta questione meridionale anche la questione del margine (che non è solamente al Sud). È la questione dei professori universitari che partoriscono figli professori e dei notai e dei banchieri e di tutte le altre figure del centro che continuano a vincere la loro lotta di classe con il margine. La lotta di classe non è solo tra ceti, ma anche fra territori. Padova non ne vuole sapere di Crotone, Bolzano non ha neppure il sospetto che sta nella stessa nazione di Foggia. Eppure di queste cose bisogna discutere. Ora non abbiamo una classe politica attrezzata a gestire le diversità del paese. Prima del voto sardo neppure lo sapevano che in Italia ancora esistono i pastori. Come non sanno che esistono paesi sguarniti di ogni servizio e dove i giovani di talento devono solo scegliere tra l’emigrazione o l’esilio a casa propria. I paesi non fanno rete, non sono mai riusciti a federare le loro ferite. Dovrebbero cominciare a farlo se non vogliono perdere i loro ragazzi.  

di Franco Arminio (da repubblica.it)

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