Per Luigi Biscardi

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L’intervento svolto da Norberto Lombardi  per commemorare il Senatore Luigi Biscardi, scomparso all’età di 91 anni, domenica 2 giugno

di Norberto Lombardi (da ilbenecomune.it)

5 giugno 2019

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Il caso ha voluto così, ma non c’era giornata più appropriata e significativa della ricorrenza della Repubblica per segnare il confine dell’esistenza di un uomo come Luigi Biscardi, che la vicenda repubblicana l’ha attraversata interamente e l’ha vissuta intensamente. Egli, infatti, può essere collocato nella prima generazione di intellettuali repubblicani, formatasi nel clima teso e fervido del dopoguerra e arrivata all’impegno civile e politico sulla spinta delle forti motivazioni ideali che percorrevano l’Italia di quel tempo.

Dopo gli studi medi, superati con eccezionale velocità e successo in un luogo di formazione come Larino, ove operava il severo magistero di persone dello spessore culturale e morale della Preside Padrone Freda, nell’ambiente universitario romano Biscardi accolse inizialmente le suggestioni dell’azionismo, nel quale erano confluiti Giustizia e libertà e il lascito dei fratelli Rosselli. In esso si raccoglievano personalità come Parri, Lussu, Foa, La Malfa, Riccardo Lombardi e altri. Biscardi, pur lontano per indole da certi aspetti ipercritici e di astrattezza che si attribuivano a quella formazione, da due cose in particolare era avvinto: la qualità culturale della proposta politica e la priorità che si dava alla dimensione etica della politica. Due motivi ai quali Luigi Biscardi resterà fedele per tutta la vita, al di là delle diverse collocazioni partitiche che si succederanno.

Quando nel 1947 il Partito d’Azione si sciolse, Egli confluì con altri nel Partito Socialista Italiano. E socialista – in senso etico, politico e culturale – resterà per tutta la vita, oserei dire anche oltre le traversie che quella formazione ha attraversato nella prima metà degli anni Novanta e anche quando, già eletto al Senato per una seconda legislatura, aderirà al Gruppo Democratici di Sinistra – l’Ulivo.Quella passione civile e quell’entusiasmo lo reinvestì subito nel suo Molise. Allora, per un intellettuale era nell’ordine delle cose tramutare le scelte culturali in impegno politico. Così per Berto Di Muzio, così per Renato Lalli, così per Ninì De Filippis, per Giulio Tedeschi, per Federico Orlando, per Girolamo La Penna, così per un ancor giovane Gaetano Scardocchia. Così per Luigi Biscardi. Nel 1956 fu eletto sindaco di Larino alla testa di una lista di sinistra, in quella Larino che allora era realmente la mente direzionale del Basso Molise. Dove, qualche anno prima, per la prima volta in Italia, un tribunale aveva emesso una sentenza coraggiosa e innovativa nella quale si proclamava la non punibilità dello “sciopero alla rovescia” attuato dai braccianti e dai piccoli contadini per obiettivi ad un tempo forti e umanissimi: il pane e il lavoro.

A metà degli anni Cinquanta, Biscardi si spostava a Campobasso per insegnare e per costruire con Sasà Mastropaolo la sua famiglia. Una famiglia che, poi, per le imprevedibili vicende della vita, avrebbe compreso, oltre a Valeria e Pinuccio, anche Cinzia e Federico. Non per dovere di circostanza, ma per spirito di verità, mi sia consentito di dire che non solo nella gestione familiare, ma sulla intera parabola privata e pubblica della vita di Luigi Biscardi un’incidenza assolutamente non marginale hanno avuto la determinazione, il coraggio, lo spirito di sacrificio di una donna come Sasà Mastropaolo, a sua volta assiduamente impegnata anche nell’attività scolastica.

Nel capoluogo, si consolidava, così, un percorso educativo di generazioni e generazioni di giovani, che Egli accompagnò da docente, da preside e da dirigente scolastico. Egli ha avuto – possiamo dirlo? – la fortuna incommensurabile di avere incrociato la vita di migliaia e migliaia di giovani nel momento cruciale della loro formazione. In queste ore, sui social, si stanno susseguendo testimonianze di stima e di grande rimpianto per il “Professor Biscardi”, per il “Preside Biscardi”, per “Gigino”, come era familiarmente chiamato negli ammiccamenti studenteschi, a testimonianza di quanto profondo e ampio fosse il legame tra i giovani e questo burbero gioviale che era il Preside Biscardi.

Posso spendere qualche ricordo personale, avendolo avuto prima come professore e poi, da insegnante, come preside. La nostra prima liceale del corso B, anzi, fu la prima classe che completò con lui il triennio liceale, che ci impartiva italiano e latino. Fummo subito affascinati dalla facilità e dalla proprietà di eloquio di quell’insegnante ventisettenne e soprattutto dal fatto che allargava i richiami critici della letteratura ben oltre questa disciplina e gli orizzonti scolatici nei quali eravamo restati immersi, proponendo anche visuali diverse rispetto a quelle, pur corrette, cui eravamo abituati. Tuttavia, la vera lezione non era questa, ma il fatto che attraverso i suoi suggerimenti critici, le sue battute di commento alle vicende nazionali e locali, la sua sorridente disponibilità al dialogo e tanti altri atteggiamenti della sua esuberante personalità, ci aiutava un po’ alla volta a sciogliere i grumi della mentalità provinciale e asfittica che ristagnava nei nostri ambienti di vita piccolo borghesi. Incominciammo, in sostanza, ad incuriosirci all’altra faccia della luna, a gustare il sapore del pensiero critico e il profumo di libertà e di autonomia che ad esso si accompagnava.

Questo nostro distaccarci da alcune convinzioni di tradizione o di abitudine, gli fu poi rimproverata e messa in conto quando si trattò di assegnare la reggenza della presidenza del Liceo. Il Preside Biscardi, comunque, non fu risparmiato dall’urto e dalle fatiche della contestazione studentesca quando, dal ’68 in poi, essa investì anche gli istituti superiori della regione. La cosa riguardò anche quella parte di noi insegnanti più sensibili a quel messaggio di liberazione e di egualitarismo, al punto che ci impegnammo a superare l’autonomismo sindacale prevalente nella scuola e a fondare il sindacato scuola CGIL.

Egli non fece passi indietro, né sull’uno né sull’altro fronte, convinto com’era che la funzione docente fosse peculiare e non omologabile e, sul versante studentesco, che le regole di un’istituzione formativa andassero comunque fatte rispettare, sia pure con flessibilità e buon senso. Più in generale, è stato sempre convinto che lo studio sia prova severa, esercizio di serietà, che non si può aggirare con metodologie edulcoranti. In quegli anni, dunque, di fronte agli studenti del suo istituto, Egli si pose consapevolmente come controparte. Sentirei di dire, tuttavia, che non indossò mai la maschera dell’autoritarismo conservativo, ma piuttosto quella dell’autorità dell’istituzione formativa e, in virtù del suo prestigio culturale, per non pochi studenti e famiglie, anche quella dell’autorevolezza intellettuale.

In parallelo, Biscardi, con la sua passione e la sua esuberanza, realizzava all’interno del PSI intorno alla sua persona una polarizzazione di consensi e di legami, che si confrontava in modo talvolta concorrenziale, in occasione elettorali o congressuali, con le figure di Guido Campopiano e, in modo più sfumato, di Gabriele Veneziale. Sul piano nazionale, Luigi Biscardi ha seguito tutta la parabola dell’autonomismo socialista, che si affermò nella fase riformatrice del primo centro-sinistra e confluì poi nell’esperienza politica e di governo di Bettino Craxi. Sul piano locale, investì la stima di cui era circondato nelle prime elezioni regionali del 1970 e in quelle amministrative per il comune di Campobasso, nel quale è stato autorevole consigliere.

Fu uno dei più attivi tra i cosiddetti “padri costituenti” nella elaborazione dello Statuto regionale, considerata da Lui ancora a distanza di anni come “il momento più alto che la Regione abbia conosciuto”. In realtà, la partecipazione, la programmazione e il rafforzamento del sistema delle autonomie furono i cardini di un assetto disegnato non senza tensioni con una parte del partito maggioritario, che però ha trovato pochi ed incerti riscontri nella pratica amministrativa e nelle scelte di governo. Ho avuto il privilegio di condividere con Lui per parecchi anni il lavoro in Consiglio regionale e nella stessa commissione e sono restato sempre stupefatto, nonostante Egli si dividesse tra scuola e Regione, per la proprietà e l’esattezza con cui affrontava temi anche lontani dai suoi interessi. Senza fare improbabili paragoni tra il presente e il passato, pensando anche ad esponenti della maggioranza, mi sentirei di testimoniare che nella delicata fase della sua contraddittoria modernizzazione ha avuto un nucleo di classe dirigente di livello piuttosto elevato e consapevole dei compiti di indirizzo e di amministrazione. In quegli anni, tra l’altro, per insistente iniziativa di Biscardi, nacque l’Istituto di studi storici che forse può essere considerato uno degli enti subregionali meno sciagurato.

Biscardi, nella fase di crisi della Prima Repubblica e di disgregazione del partito di maggioranza, in Molise assolutamente preponderante, fu l’uomo giusto per riequilibrare gli scompensati esiti elettorali tra gli schieramenti. Per tre consecutive legislature – dal 1992 al 2001 – egli è stato l’eletto che ha rappresentato i partiti e l’opinione di centrosinistra, e non solo, nella Camera alta del Parlamento nazionale. Lo ha fatto con lo stile e l’amabilità che lo caratterizzavano, e soprattutto con la competenza che in materia di scuola e di istruzione aveva acquisito sul campo. Una competenza non “à la carte”, come oggi si usa, ma strutturata con l’esperienza e il contatto educativo quotidiano.

In Senato ha fatto un grande lavoro, spesso sobbarcandosi in commissione, in modo non scenografico ma penetrante, l’approfondimento e la sistemazione normativa di molti provvedimenti. Ha avuto forse l’amarezza di non vedere premiato il suo lavoro con l’attribuzione della presidenza della commissione, ma anche il riconoscimento e la gratitudine di chi sa veramente le cose.  La conclusione della sua attività parlamentare ha segnato per Lui e soprattutto per tutti noi un importante ritorno. Il ritorno ai suoi amatissimi studi. Le incombenze del lavoro e dell’attività politica in precedenza non avevano attutito la qualità delle sue analisi, ma ne avevano certamente limitato la portata. La sistemazione critica che ha fatto della poesia dialettale molisana e i suoi contributi alla conoscenza della fase costitutiva, tra ‘700 e ‘800, del Molise moderno, assieme ad amici non solo di ricerche ma di vita, come Giorgio Palmieri, Sebastiano Martelli, Renata de Benedittis e Tonino Santoriello, restano coordinate importanti di una visione critica della nostra terra.

L’impresa destinata a durare nel tempo, non solo in ambito regionale, ma nazionale, è comunque l’edizione critica degli scritti editi e inediti di Vincenzo Cuoco, nel quadro del bicentenario della Provincia di Molise. Un’impresa che ha riempito quasi ossessivamente gli anni finali della sua esistenza. Egli ha creato le condizioni perché il progetto potesse svilupparsi, ha tenuto i contatti con gli eminenti studiosi che vi hanno collaborato, ha saputo tenere in mano il filo di raccordo dei sei volumi, ha curato quello dedicato agli scritti statistici sul Molise e, infine, quando il sostegno della Provincia è venuto a mancare, è intervenuto personalmente a coprirne una parte delle spese. Consentitemi di dire che se questo è potuto avvenire è per l’aiuto costante e affettuoso che un’altra persona che non finiamo di rimpiangere, come Giorgio Palmieri, ha saputo dargli.

Educatore di alta responsabilità, politico di livello, intellettuale di spessore, persona signorile e amabile. Nel salutarlo e nel ringraziarlo per quanto ha fatto per noi e per il Molise, non voglio tuttavia cadere nell’enfasi della “perdita irreparabile”. La vita e la morte sono nell’ordine naturale delle cose: è fin troppo banale dirlo. Nel grande fiume della vita ci sono tuttavia numerosi affluenti, che hanno una loro portata significativa. Uno è quello dell’amicizia e degli affetti, che oggi ci porta a stringerci a Valeria e a Pinuccio e a tutti gli altri parenti. Il ricordo della sua umanità, della sua giovialità e della sua signorilità, forse ci può aiutare a lenire il senso di privazione che si è acceso fin dai primi momenti della scomparsa.

Poi c’è l’affluente dell’ordine civile e delle responsabilità politiche e istituzionali. Qui le cose forse sono più difficili. Biscardi negli ultimi anni non taceva la sua delusione e le sue riserve. Su questo piano i ricordi del passato non bastano. Ci resta forse la speranza che una vita come la sua possa essere di esempio, un termine di confronto soprattutto per i “suoi” giovani. Il confronto tra una deriva di accidia rabbiosa e di pessimismo e l’impegno per testimoniare i valori della sua e della nostra Repubblica, vale a dire la libertà e la democrazia.

di Norberto Lombardi (da ilbenecomune.it)

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