L’insediamento sannitico di Fonte del Romito

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A Capracotta un sito archeologico poco conosciuto ma che merita assolutamente di essere apprezzato

di Francesco Di Rienzo (da amicidicapracotta.com

4 giugno 2019

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Dall’ambizione di ritrovare il santuario di Cerere alla scoperta di un vero e proprio insediamento umano con una vitalità ininterrotta di circa mille anni. Dall’aspettativa di fare luce sull’effettivo ruolo della Tavola Osca alla prospettiva, invece, di studiare la progressiva evoluzione di un centro abitato sannitico dall’età protostorica fino agli inizi dell’età imperiale di Roma. La straordinaria scoperta è stata effettuata dalla Soprintendenza archeologica del Molise che, dal 1979 al 1985, ha promosso cinque campagne di scavo nei pressi della Fonte del Romito, in contrada Macchia a Capracotta, con l’obiettivo dichiarato di riportare alla luce il recinto sacro dedicato alla dea delle Messi. E, invece, sotto le pale e i picconi degli archeologi, si sono materializzati, un po’ alla volta, i resti di un’antica cittadina che gettano nuova luce sulla storia delle nostre contrade nelle epoche più remote.

I reperti più antichi risalgono  al IX sec. a.C., il periodo in cui si formano le popolazioni storiche del Sannio. Sono piuttosto scarsi (un fondo di capanna) e non consentono di avanzare alcuna ipotesi sulle dimensioni dell’insediamento e sulla struttura socio-economica della sua popolazione. Nell’età arcaica (VII- VI sec. a.C.), il quadro delle nostre conoscenze appare più chiaro: l’abitato è, grazie alla sua posizione strategica lungo l’asse tratturale Pescolanciano- Sprondasino- Castel del Giudice, un importante centro di passaggio per la transumanza. Tra il IV e il III secolo a.C., lo stanziamento continua a svilupparsi. Siamo nella fase cruciale della storia del Sannio. In questo periodo emerge e si impone quell’organizzazione territoriale dei Sanniti basata sul modello federativo vicus- pagus- touto. Ma sono anche gli anni del conflitto con Roma. Nel 290 a.C., dopo 53 anni di accanita resistenza, le genti del Sannio sono costrette a chiedere la pace: mantengono l’indipendenza ma devono accettare l’alleanza con l’Urbe che rispettano nel corso della Seconda guerra punica (218- 202 a.C.) nonostante i numerosi tentativi di Annibale di ingraziarseli per minare alla base la struttura statale di Roma. Soltanto qualche tribù defeziona dopo il disastro di Canne. Ma è poca cosa. A Fonte del Romito, la superficie dell’abitato risulta abbastanza estesa. La popolazione è piuttosto numerosa. Tra le attività economiche, accanto all’agricoltura e all’allevamento, si afferma un artigianato in grado di soddisfare le esigenze della vita quotidiana di una comunità ampia e socialmente articolata. L’insediamento è probabilmente sede di poteri amministrativi nella sfera civile, economica e forse anche religiosa nel contesto dell’organizzazione territoriale della tribù dei Sanniti Pentri. Per proteggersi dalle minacce militari del tempo, la comunità costruisce le cinte fortificate di Monte San Nicola e di Monte Cavallerizzo.

Il rispetto dell’alleanza con Roma evita ai Sanniti le ritorsioni che subiscono gli altri popoli italici, che si sono lasciati allettare dalle lusinghe di Annibale, e permette loro di godere di oltre un secolo di tranquillità che incentiva la ripresa economica del Sannio. Sul piano sociale, nascono le élite locali. A Fonte del Romito, questo fenomeno si evince da due evidenze archeologiche. Innanzitutto, la cittadina cresce attraverso un progetto di espansione con  una razionalizzazione degli spazi chiaramente pianificato dall’alto. In secondo luogo, il ritrovamento di un grande edificio, organizzato secondo due nuclei distinti, uno prettamente residenziale e un altro destinato agli ambienti di servizio,  indica l’emergere di un gruppo, o un nucleo famigliare, con un ruolo di primo piano nella vita della collettività. Nel 90 a.C., i Sanniti riprendono le armi contro Roma: una vasta coalizione di popoli italici insorge per reclamare la parificazione dei propri diritti a quelli dei cittadini romani. La guerra dura due anni e si svolge nei territori dei popoli confederati. Roma manda nel Sannio il generale Lucio Cornelio Silla. La penetrazione dell’esercito romano inizia sul finire del 90 a.C. e continua nell’anno successivo tra massacri e repressioni di ogni genere che portano alla conquista della capitale Bovianum. Nello stesso anno, il console Pompeo Strabone espugna Aesernia, ultima roccaforte degli insorti. I soci italici escono militarmente sconfitti ma politicamente vincitori: ottengono la piena cittadinanza romana. Non si è ancora spento il ricordo della Guerra sociale, che i Sanniti sono coinvolti nella guerra civile tra Gaio Mario e lo stesso Silla. Un esercito sannita viene sbaragliato ancora da Silla nella battaglia di Porta Collina (1 novembre 82 a.C.).

Nell’81 a.C., Lucio Cornelio Silla, oramai unico arbitro della vita politica romana, viene nominato dittatore senza limiti di tempo e con pieni poteri di riordinare lo Stato. Uno dei suoi primi atti è il massacro di seimila prigionieri sanniti, fatto eseguire al campo di Marte, in modo che al Senato, riunito ad ascoltare i suoi ordini, giungessero le urla dei morenti. Nei due anni in cui riveste la dittatura, Silla promuove la stabilizzazione dei popoli italici nell’apparato statale romano attraverso la creazione di municipia, cioè l’urbanizzazione dei principali centri abitati situati in aree fino ad allora organizzate prevalentemente con sistema tribale. L‘Alto Molise viene ricompreso nel territorio del municipio di Terventum (Trivento). Questa riforma amministrativa provoca gravi danni alle zone montane: i Sanniti, infatti, con il loro sistema di insediamenti diffusi, avevano occupato il territorio in maniera integrale e omogenea, fin nelle zone apparentemente meno favorevoli e maggiormente disagiate. L’organizzazione municipale romana, invece, che pone le città in una posizione assolutamente centrale, trasforma queste ultime in unico punto di riferimento per le questioni politiche, economiche e religiose e favorisce un processo di spopolamento  e di abbandono delle aree montane più interne.

Lo studio dei reperti archeologici di Fonte del Romito d’età romana (I sec. a.C.- I sec. d.C.) è molto interessante perché smentisce questi dati storici di carattere più generale. Da un punto di vista urbanistico, non c’è traccia delle devastazioni di Silla, tramandateci dalla storiografia romana. Inoltre, la cittadina, anziché spopolarsi, si amplia ulteriormente: vengono costruite nuove strutture residenziali mentre quelle precedenti vengono risistemate e ammodernate. Gli abitanti di Fonte del Romito evidentemente riescono a cogliere le nuove opportunità economiche offerte dalla mutate condizioni politiche: da un lato, la trasformazione delle alture montane ad aree di pascolo estivo per  il bestiame dei latifondi dell’Apulia; dall’altro, l’utilizzo del legname dei boschi e delle foreste per soddisfare le sopravvenute esigenze della cantieristica militare navale romana e dell’urbanizzazione dei popoli italici.

L’esperienza insediativa di Fonte del Romito si interrompe bruscamente entro la metà, o poco oltre, del I sec. d.C. a causa di un violento incendio. Gli abitanti riescono a mettersi in salvo e si disperdono tra le altre comunità del Sannio romanizzato. Le campagne di scavo della Soprintendenza archeologica del Molise non hanno per ora rinvenuto documenti o altro materiale in grado di svelare la denominazione dell’abitato e i suoi rapporti con gli altri insediamenti della zona. Del resto, la questione della toponomastica sannitica è piuttosto fumosa anche da un punto di vista più generale. Le città di cui abbiamo attestazione, e di cui non è sempre facile individuarne l’esatta ubicazione ai giorni nostri, sono principalmente quelle ricordate dallo storico Tito Livio nella sua opera “Ab Urbe condita” durante la narrazione delle guerre sannitiche. Si tratta complessivamente di 29 località, dalle quali, però, non emerge alcun indizio utile ai fini della nostra trattazione. Negli anni del principato di Augusto, l’Italia viene divisa in undici regioni: le città del Sannio vengono incluse nella IV Regio Sabina et Samnium. Tre secoli più tardi, l’imperatore Costantino ridisegna la geografia amministrativa imperiale. La nostra Penisola viene suddivisa in diciotto province: la parte settentrionale del Sannio è annessa all’Abruzzo nella Provincia Valeria.

Nella Tabula Peutingeriana, una copia medievale di una carta stradale dell’Impero romano del III o IV sec. d.C., l’Alto Molise è fuori dalle grandi vie di comunicazione. Nel 476 d.C. l’Impero romano non c’è più. Ma nessuno se ne accorge. Da tempo, Roma esercitava un potere soltanto nominale, di fatto nelle mani dei generali barbarici di turno, e l’Italia è terra di conquista. Nel 410- 412 i Visigoti di Alarico avevano devastato la Provincia Valeria. Nell’estate del 489, Teodorico conduce in Italia gli Ostrogoti. Ci rimangono fino al 553. Sono sconfitti dai bizantini di Giustiniano I, dopo una lunga e disastrosa guerra. La Provincia Valeria è riconquistata nell’inverno del 537-538. Ma oramai siamo già nel Medioevo, alla vigilia dell’invasione di un’altra popolazione barbarica destinata a cambiare il corso della storia della nostra penisola e, in particolar modo, del nostro territorio: i Longobardi.

di Francesco Di Rienzo (da amicidicapracotta.com

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