Il grembiule della nonna

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Uno strofinaccio molto particolare di qualche anno fa

di Flora Delli Quadri (prof.ssa di Matematica in pensione)

14 maggio 2019

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Qualche giorno fa ho letto, tra l’apprensivo e il divertito, un articolo che metteva in guardia dai tanti focolai di germi che si annidano nelle nostre cucine su tutti gli strumenti di uso quotidiano: piani di lavoro, taglieri e cucchiai di legno, spugne, strofinacci. Già, gli strofinacci! È pensando a loro che mi è venuto in mente uno strofinaccio molto particolare: il grembiule della nonna.

Chi ha scritto quell’articolo forse non sa, o se lo sa lo ha dimenticato, che, tra gli strumenti che hanno fatto la storia dell’umanità, il grembiule della nonna merita un posto d’onore.

Il suo uso tradizionale era quello di proteggere il vestito. Più facile da lavare dell’abito che c’era sotto perché più piccolo e con meno pretese, se ne potevano avere tanti perché fatti con materiale di recupero. Invece di vestiti, nella maggior parte di casi, se ne aveva uno e uno soltanto.

L’umile vecchio grembiule, lavato e rilavato più volte e messo ad asciugare, piegato, sopra la stufa a legna, quando si trovava nella sede per cui era stato concepito, cioè legato alla vita della nonna, si trasformava nel più versatile strumento a sua disposizione. C’era una pentola calda da rimuovere dal forno? Niente presine! Si alzava il lembo del grembiule e, con un gesto fulmineo per evitare scottature, in un battibaleno il ruoto si trovava sul tavolo. Nel pollaio c’erano uova appena deposte, calde e invitanti? Il grembiule diventava un pratico strumento di trasporto; all’occorrenza portava anche pulcini pigolanti o, se le galline erano sfaticate, anche di uova covate per metà per essere messe vicino la stufa a continuare la schiusa. E poi, fascine e legnetti per accendere il fuoco; tutti i tipi di verdure, piselli, pomodori, melanzane provenienti dall’orto; e, ancora, noci, castagne… e mele, quelle cadute dall’albero e ammaccate. Venivano raccolte religiosamente e portate in casa per utilizzarle in una semplice quanto squisita torta di mele. Mani bagnate asciugate sommariamente con un angolo di quel pezzo di stoffa indicavano che un lavoro era finito e che ci si stava accingendo a iniziarne un altro. Per non parlare di quanta insospettabile polvere quel vecchio grembiule ha tolto, furtivamente in pochi secondi, dall’angolo di un mobile.

E le tasche? Uno scrigno contenente un ditale e un rocchetto con l’ago infilato pronto all’uso, un gomitolo da srotolare per fare la calza, un fazzoletto da naso usato più e più volte. Ma gli usi più vicini al cuore erano altri: quando verso sera faceva un po’ più freddo, la nonna lo usava per avvolgere le braccia del nipotino infreddolito e comunicargli un po’ di calore; con un lembo dello stesso gli puliva il musetto e le mani impiastricciate, le orecchie sporche, il moccio al naso; e, tenerezza infinita, lo proteggeva quando, intimidito e impaurito, correva a nascondersi tra le sue gonne e gli asciugava le lacrime. Ci vorrà molto tempo prima che qualcuno inventi qualcosa che possa paragonarsi per multifunzionalità a quel “grembiule d’altri tempi”.

Non credo che i ragazzi siano in grado di capire, oggi, ciò che per certe generazioni, ha rappresentato questo indumento, ma non fa niente, abbiamo comunque il dovere di ricordarlo. Di sicuro gli igienisti di oggi impazzirebbero per cercare di capire quanti germi erano concentrati su quel pezzo di stoffa umile e rattoppato.

Personalmente penso che nessun bambino abbia mai preso malattie dal “grembiule della nonna”. Ha preso però qualcosa di molto più importante, qualcosa che non ha prezzo: una infinita tenerezza e amore, tanto amore! 

di Flora Delli Quadri (prof.ssa di Matematica in pensione)

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