Il devoto di Castelpetroso

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I racconti di Vincenzo Colledanchise hanno la maturità che solo il trascorrere del tempo può produrre

di Vincenzo Colledanchise 

25 febbraio 2019

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Zio Michele si recava ogni sera alla cantina vicino casa per stare un po’ in compagnia, era rimasto vedovo da poco e sentiva la solitudine come macigno grosso da portare nel cuore.

I figli erano emigrati e vivevano lontano dal suo paese. 

Lui, i macigni veri li aveva portati sulle spalle fin da giovane, allorquando il padre lo aveva avviato ai duri lavori nella cava di pietra vicino al paese, dove nel tempo era divenuto abile scalpellino.

Ma il peso delle pietre non lo affliggeva quanto il gran peso nel cuore per l’ angoscia dovuta alla morte della moglie. Lui aveva amato molto la sua Assuntina avendola conosciuta fin da ragazza quando ella portava puntualmente ogni mattina l’acqua ai lavoratori presso la cava, con la sua lucente conca di rame.

Si era innamorato di lei per il suo portamento fiero e per l’eleganza con la quale portava la conca di rame in testa, capace di attraversare incolume l’irto sentiero, in bilico, tra gli infidi sassi della cava bruciata dal sole.

Aveva vissuto anni di matrimonio felice, allietato da due bei figli, ma soprattutto per aver goduto della bontà e generosità della moglie, che per naturale riflesso del suo buon carattere, portava stampato un contagioso sorriso sul viso che dispensava generosamente a tutti. 

Zio Michele non sopportando il peso della vedovanza se ne stava ormai quasi tutto il giorno in cantina, dove beveva vino con sfrenata avidità, affinché gli facesse dimenticare la sua solitudine.

Una sera tornò a casa barcollando, avendo bevuto oltre il solito, non ce la fece a spogliarsi e ancora vestito si adagiò sul letto, tramortito dalla sbornia.

Quella notte gli venne in sogno Assuntina. Non fu destato dalla sua visione quanto dal volto triste che ella mostrava e che in vita raramente aveva mostrato. Gli disse solo alcune parole, ma decisive: “ Non pensare a me ora che sono nella luce divina, offuscata solo dalla tua angoscia di saperti solo e triste. La Madonna ti vuole aiutare, ti esorta a non consumare i tuoi giorni nella cantina ad ubriacarti, ed esige da te un atto di grande generosità.

Si sta realizzando un grande santuario a lei dedicato a Castelpetroso , recati lì per donare la tua opera , la tua arte e il tuo cuore e lei ti ricompenserà adeguatamente”.

Destato e sbalordito da quell’inusuale messaggio della moglie, Zio Michele subito si svegliò. Si segnò e biascicò confusamente qualche “ Ave Maria” indirizzata all’Addolorata di Castelpetroso . 

All’indomani non pensò che a quella visione e a quelle confortanti parole della moglie. 

Si informò presso il suo parroco come avrebbe potuto raggiungere quel santuario e con Don Luigi formalizzò

il suo voto. 

In seguito prese accordi col capo mastro del cantiere e ivi si recò con la sua vecchia valigetta di cartone, in una splendente giornata di maggio del 1956. 

Zio Michele giunto presso l’area del santuario verificò che avevano effettivamente bisogno di un bravo scalpellino, perché i lavori andavano a rilento, e in seguito intuì che avevano pure bisogno di un guardiano del cantiere, perché si erano verificati diversi furti. 

Il vecchio pur di riconquistare serenità ed eseguire quel voto straordinario voluto dalla sua Assuntina, su indicazione della Madonna, fece l’una e l’altra cosa e ben presto entrò nel cuore di tutte le maestranze del cantiere. Non solo. Siccome il Cielo non si fa vincere in generosità, gli fu in seguito prospettata la possibilità di lasciare la vecchia baracca e di poter dimorare presso il contiguo orfanotrofio femminile gestito dalle suore sacramentine, operante al fianco del costruendo santuario neogotico.

Passarono pochi anni e Zio Michele era divenuta la figura preminente del santuario: continuava a scolpire le pietre; segnava sul registro del cantiere le forniture di cemento e ferro; suonava la campana all’arrivo dei pellegrini; nelle festività fungeva da sacrestano alle funzioni religiose che si tenevano presso un’ala completata del santuario, e soprattutto, nei ritagli di tempo, faceva da muratore e taglialegna per l’orfanotrofio. 

Tutti gli volevano un gran bene e lo circondavano di affetto e il vecchio era pago di gioia e letizia, non solo per aver assolto fedelmente alla volontà della moglie, ma soprattutto per aver speso i suoi ultimi anni in modo proficuo per il santuario, i pellegrini, le orfanelle e per l’adorata Madonna di Castelpetroso, che aveva riempito completamente i suoi anni residui, dopo la scomparsa della moglie che, grazie a quel suo messaggio lanciatogli in sogno, era divenuto per tutti il pio scalpellino della madonna.

(Foto: il Santuario di Castelpetroso in costruzione)

di Vincenzo Colledanchise

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