Steve McCurry a Campobasso

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Un’anteprima della mostra

di Paolo Di Lella (da ilbenecomune.it)

28 gennaio 2019

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Nel giorno dell’inaugurazione della mostra fotografica “Icons” di Steve Mc Curry, allestita nelle sale espositive dell’ex Gil a Campobasso, e visitabile fino al 28 aprile prossimo, in esclusiva per la stampa è stata organizzata una pre-view dell’esposizione alla presenza della curatrice Biba Giacchetti.

Per il consueto taglio del nastro, assieme alla curatrice della rassegna, erano presenti il Presidente della Giunta regionale Donato Toma e l’Assessore regionale alla cultura Vincenzo Cotugno, oltre naturalmente ai vertici della Fondazione Molise Cultura (l’Ente promotore), la Presidente Antonella Presutti e l’ex Direttore Sandro Arco, ufficialmente rimosso nel 2017 ma, evidentemente, ancora a capo della struttura.

La curatrice, prendendo la parola, ha ricordato la visita che il celebre fotoreporter statunitense, lo scorso settembre, aveva già fatto ai locali dell’ex Gil in occasione della sua partecipazione alla kermesse “Poietika”, sottolineando le ottime impressioni che ne aveva ricavato. Poi, nel ringraziare le figure apicali della FMC, le ha definite “visionarie”, alludendo al coraggio che hanno avuto nell’ospitare la mostra di un artista internazionale in un contesto non certo metropolitano. Infine, ha lodato i molisani per la loro giovialità e accoglienza, in contrapposizione a realtà come Milano, certamente più effervescente dal punto di vista economico e culturale, ma anche più povera per quel che concerne le relazioni umane. Un passaggio estremamente generoso, quello che Biba Giacchetti ci ha dedicato, ma forse – ci permettiamo di commentare – anche un tantino retorico.

Un passaggio, tra l’altro, a cui si è agganciato facilmente il Presidente Toma che, alimentando un refrain particolarmente in auge tra chi ha gestito le politiche culturali regionali negli ultimi anni, ha ribadito il concetto secondo cui ospitare un artista di fama mondiale equivalga necessariamente a “sprovincializzare” la nostra “piccola” regione. Un malinteso – secondo noi – che deve essere superato in luogo di una programmazione magari meno sensazionalista, ma più coerente e sistematica.

Nel merito della mostra, c’è da dire che è ottimamente allestita, in un contesto bellissimo che è quello dell’ex GIL, forse il più importante esempio di architettura razionalista della nostra regione.

È una grande retrospettiva – ha spiegato la curatrice – che comprende 130 immagini tra cui una decina inedite, esposte soltanto una volta in una galleria privata e ora finalmente esposte al pubblico. Il senso della mostra sta nella massima libertà: tutto viene mescolato insieme, gli anni, i luoghi; il visitatore deve essere libero di muoversi, deve trovare la sua strada, le sue emozioni, il suo passo, andare, venire, tornare indietro. Il mio compito è quello di rispettare le loro storie, quindi distribuirle in maniera coerente, rispettando le loro situazioni. Dunque, c’è una grande sezione iniziale, fatta di ritratti, una specie di gran tour del mondo, come se Steve ci presentasse i suoi incontri, i suoi partner, le persone che ha incontrato e con le quali ha stabilito relazioni tramite un linguaggio umano che va al di là della lingua, fatto di comprensione reciproca e di universalità del sentire. Poi abbiamo una parte di collegamento, con foto più poetiche, ma anche più ironiche ed energetiche. Quindi si entra in un settore di fotografie più dure, più drammatiche, fino ad arrivare nell’ultima sala con un emiciclo dove sono raccolte le sue foto più famose, quelle che ama di più. In questa grande sala vi sono anche due piccole stanze con le fotografie delle zone di guerra. Infine, nell’ultima parte, altre foto poetiche. In una saletta chiusa, invece, c’è l’immagine più amata dal pubblico, quella che dalla sua pubblicazione sulla copertina di National Geographic, continua ad avere una forza espressiva notevolissima. Sta insieme ad altre tre fotografie molto amate da Steve McCurry, si tratta della celebre immagine di Sharbat Gula, la ragazza afghana fotografata nel campo profughi di Peshawar in Pakistan, diventata un’icona assoluta della fotografia mondiale.

di Paolo Di Lella (da ilbenecomune.it)

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