Il gallo del convento

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I racconti di Vincenzo Colledanchise hanno la maturità che solo il trascorrere del tempo può produrre

di Vincenzo Colledanchise

28 novembre 2018

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I monaci avevano una grandiosa cucina. Dal paese vi approdava ogni ben di dio e fra Nicola, il questuante, era particolarmente felice. Aveva avuto in dono un bel gallo, che il padre guardiano non volle cucinare subito ma ingrassare per poterlo gustare in occasione delle imminenti feste natalizie.

Ogni volta che fra Nicola mandava il figlio del fornaio a ritirare le uova nella stalla del convento era dura per quel povero ragazzo. Il gallo improvvisamente gli piombava in testa, beccandolo a sangue. Il poveretto tornava a casa piangente e terrorizzato. Il fatto curioso era che quel gallo non aggrediva nessun altro. Insomma ce l’aveva con lui.

Fu così che pensò di vendicarsi. Si munì di tagliola, vi pose l’esca di grano e attese. Dapprima la tagliola colpì una innocente gallina ma dopo qualche minuto scattò finalmente per il gallo, che cominciò a fare un baccano del diavolo. 

Impaurito per l’arrivo dei monaci, il ragazzo lo colpì alla testa con una pietra per zittirlo. Ma il gallo reclinò la testa esanime, lasciando stupefatto il ragazzo, che per non lasciare il corpo del reato in bella mostra, decise di infilarlo dentro un sacco di iuta e portarselo a casa.

Tremava per l’accaduto e di più per i rimproveri che gli avrebbe mosso il padre. Costui, invece, lo elogiò con ironia: "Finalmente qualcuno provvede a farmi mangiare carne".

Qualche anno dopo il figlio del fornaio si preparò piamente alla prima comunione. Davanti al confessore, l’arcigno padre Alfonso, non seppe nascondere l’antico misfatto. Il frate, astutamente, per penitenza non lo obbligò a recitare le solite avemarie ma gli impose di riportare un gallo in convento.

di Vincenzo Colledanchise

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