Francesco Jovine in viaggio alla ricerca del Molise

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Il contatto con antiche memorie dà subito adito a riflessioni più pratiche sul carattere rurale della costruzione dei suoi scritti

di Claudio de Luca (da termolionline.it)

22 ottobre 2018

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Nel 1941 lo scrittore Francesco Jovine era tornato nel Contado molisano. Gliene aveva offerto l’opportunità “Il giornale d’Italia”, committente di una serie di articoli da scrivere dai principali centri di un territorio non ancora nobilitato dal titolo di Regione. 

Nel corso della sua ‘recherche’, praticata penetrando a ritroso nel tempo e nello spazio, il Guardiese ebbe la possibilità di confrontarsi da una parte con i miti della sua fantasia, dall’altra con la memoria dei tempi andati quando, ascoltando dal padre le vecchie storie di un’epoca passata, aveva preso coscienza della triste realtà sociale in cui vivevano i suoi ‘cafoni’. Fu proprio in questi scritti che temi, già intravisti nei lavori precedenti, risalteranno illuminati da ben altra forza. Da quel momento lo scrittore guarderà le cose da un’angolazione tesa al reale, pur essendo ancora impregnato delle nostalgie della memoria. E così, mano a mano che procederà nella stesura dei suoi “pezzi”, emergeranno dalle righe l’ironia, il ‘pathos’, il mito, la favola, la coralità, il dramma. Jovine procede ‘on the road’, con l’aria apparentemente svagata dell’inviato speciale che, impegnandosi un po’ meno nell’analisi, prospetta al lettore soprattutto la curiosità erudita, il colore, l’inusitato, approfondendo comunque la prospettiva del reale quanto più si sia addentrato nel territorio regionale.

Il nerbo di quegli articoli corrisponde al tono evocativo che, più tardi, fornirà i ‘cartoni’ per la composizione del grande affresco di “Signora Ava”. Però, assieme alla rievocazione, emergono già analisi ben più lucide sulla realtà sociale, in cui si staglia netta la figura del contadino e di quell’entità costituita dalla terra, termine fisso di ogni lotta sociale. Su questi argomenti, il Guardiese procede prima per assaggi, poi con una scrittura più poderosa, infine addirittura con un saggio (“Del brigantaggio meridionale”); ed il ‘climax’ dà il segno dell’amore nutrito per i problemi della sua terra che, seppure non l’abbia condotto ad esegèsi storiche originali (dacché egli non faceva che condividere le vedute dei grandi meridionalisti Dorso, Salvemini e Villari), ebbe comunque a rivelarlo quale studioso amoroso, coscienzioso preparatore del sottofondo storico dei suoi romanzi maggiori. 

Questi ed altri temi fanno dei contenuti di “Viaggio nel Molise” i prolegomeni di “Signora Ava” (1942), la cui seconda parte è ambientata proprio tra i cosiddetti briganti meridionali. La banda del ‘Sergentello’, che accoglie Pietro Veleno e Carlo Antenucci, è composta di contadini male armati e variamente equipaggiati che combattevano gli stessi nemici in nome della terra, sempre speranzosi in un aiuto esterno che non verrà mai, dal momento che, dopo la fuga di Re Francesco a Gaeta e la rotta del suo esercito al Volturno, il Contado di Molise si riempie di camice rosse e di soldati della Guardia nazionale. Sarà proprio la presenza di costoro a rendere ancora più ringalluzziti i rapaci borghesi di Guardialfiera Negli articoli scritti, per “Il giornale d’Italia”, Jovine non si limita alla descrizione di una terra da idillio, sereno rifugio campagnolo di inurbati figlioli prodighi, bensì fa emergere la memoria e la realtà, conducendo una ricerca su due piani paralleli che lentamente si fondono. 

Così, in “Le campane di Agnone”, la visita di un castello, fatta per mettersi a contatto con antiche memorie, dà subito adito a riflessioni più pratiche sul carattere rurale di quella costruzione; ne “I contadini vanno al piano” le gioiose scene delle compagnie, che si dirigono in pellegrinaggio verso i luoghi santi del Tavoliere, vengono subito riportate alla loro dimensione rurale: ”Intraprendevano il viaggio per fermarsi ai mercati, alle fiere, ai luoghi notevoli e fare piccoli acquisti. Il loro viaggio verso l’arcangelo Michele che preme col piede Lucifero incatenato, nero e cornuto, è un viaggio verso una terra ricca, di ampio orizzonte, lambita dal mare. E’ forse quest’ampiezza dell’orizzonte, la terra uniforme e indifesa che l’aratro può velocemente ferire; la promessa del grano, degli armenti, che dà ai molisani pellegrini il senso dell’allegrezza e della liberazione”. E così il viaggio prosegue con la fantasia che si stempera nella realtà e con la realtà che ritorna alla favola. 

di Claudio de Luca (da termolionline.it)

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