Scolaro in Germania

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I racconti di Vincenzo Colledanchise hanno la maturità che solo il trascorrere del tempo può produrre

di Vincenzo Colledanchise

27 giugno 2018

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Soffrendo di carenza d’affetto, volli caparbiamente raggiungere i miei genitori in Germania dove lavoravano. Quel nuovo mondo tanto diverso dal mio paese mi metteva tanta tristezza, anche se ero finalmente in compagnia dei miei. 

Tutto era diverso: la lingua astrusa, le strade, le case, la campagna, il cibo, ma soprattutto la scuola. 

Vi approdai una mattina di dicembre, quasi catapultato lì da mio padre che sperava tanto avere un buon interprete in casa. Si entrava al mattino alle otto ed ogni ora puntualmente si usciva sull’antistante piazzale per usufruire di un quarto d’ora di ricreazione e acquistare un dolce o bibita preparate per i ragazzi. Si usciva di scuola solo nel tardo pomeriggio.

Si poteva stare tutte quelle ore in quella scuola di Wilflingen in Baviera, perché molte ore di lezione erano dedicate alla ginnastica nell’attrezzata palestra, altrettante ore si dedicavano alla musica e al canto, vantando quella nazione gloriose tradizioni musicali, e si seguivano seriamente anche le lezioni di religione impartite dal pastore. Si usufruiva di un ottimo laboratorio scientifico e di un piccolo cinema scolastico. Accurate visite mediche periodiche specialistiche garantivano la nostra salute.

Frequentai con la mia classe un corso di sci sulla vicina collina innevata con gli sci prestatemi dal maestro, provai a calzare pure i pattini d’acciaio per correre sulle strade ghiacciate del villaggio, come facevano normalmente i miei compagni d'inverno, ma cadevo spesso e rovinosamente. 

Fui preso in simpatia dal maestro Hamler, o compatito per il mio isolamento in classe, perché mi permise salire in casa sua per istruirmi nella lingua tedesca. 

Alcuni suoni gutturali non riuscivo proprio a pronunciarli, allora il maestro spazientito mi ordinava di bere affinché facendo una sorta di gargarismi riuscissi nell’intento di parlare il tedesco con una pronuncia accettabile. Ho imparato la lingua subito e subito l’ho dimenticata non praticandola più al ritorno in Italia.

di Vincenzo Colledanchise

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