Novità tra comuni del Gargano, della Valle d’Itria ed il MoliseForma di governo e sistemi elettorali

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di Paolo Di Lella (da ilbenecomune.it)

31 maggio 2018

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L’intervento della nota costituzionalista – è stata la prima donna in Italia a ricoprire la cattedra di Diritto costituzionale – avviene in un momento topico, a ridosso cioè della decisione del Capo dello Stato di porre il veto sul nome indicato dal Presidente del Consiglio incaricato al Ministero dell’Economia.

E allora il discorso non poteva che toccare l’attualità.

La Carlassare ha iniziato affermando – socraticamente – di non essere in grado di esprimere un giudizio sulla questione. Con questo approccio – quasi elenctico, per l’appunto – ha condotto la sua dissertazione stabilendo dei princìpi e ponendo delle domande alle quali ella stessa ha risposto con eccezionale brillantezza.

Che tipo di democrazia è la nostra? Una democrazia costituzionale. Che vuol dire?

Innanzitutto – ha voluto chiarire la professoressa emerita – lo scopo della democrazia è quello di porre limiti e regole al potere. Ciò significa, in un sistema come il nostro, che persino la maggioranza non può fare ciò che vuole, ma ciò che può, entro i limiti di cui si è detto.

Lo strumento – il limite interno, potremmo dire – consiste nella divisione dei poteri: il Parlamento fa le leggi, il Governo le rende esecutive, mentre la Magistratura (che deve essere indipendente) esercita il potere giudiziario.

Governo e Parlamento sono legati indissolubilmente, nel senso che il primo è legato alla maggioranza parlamentare che lo ha eletto.

Qual è il ruolo del Presidente, invece? Quest’ultimo ha più poteri quanto più è debole la maggioranza. E qui veniamo all’attualità. È chiaro che in questa situazione il Presidente della Repubblica assume un ruolo centrale. Il suo obbiettivo deve essere quello di favorire la formazione di un governo che abbia la maggioranza parlamentare. Innanzitutto l’incarico. Nell’ambito dei nomi proposti dai presidenti dei gruppi parlamentari durante le consultazioni, il Presidente ha una certa elasticità nelle scelte.

Al Primo Ministro incaricato, a quel punto, compete l’onere e il dovere di presentare al Capo dello Stato la lista dei Ministri. E qui arriviamo al dunque. Il Presidente della Repubblica, nell’approvare la lista dei Ministri non può entrare nel merito politico. Un giudizio, dunque, chiarissimo riguardo alla scelta di Mattarella di opporsi alla nomina di Savona.

Poi, l’illustre ospite, è entrata nel cuore del tema specificato nel titolo della Lectio: la legge elettorale.

Forma di governo e forma dello Stato sono legati fortemente attraverso la Legge elettorale. Una legge elettorale che verticalizzi il potere decisionale, influenzerebbe non solo la forma di Governo ma anche la forma dello Stato.

In questo senso, la relatrice della Lectio ha il grande merito di aver fatto cadere con il suo discorso il mito del maggioritario, a sua volta fondato sull’esigenza di garantire la stabilità.

Ma se un Governo non è efficace – questa è l’eccezione proposta dalla relatrice – non è un bene che duri nel tempo.

Le leggi elettorali degli ultimi decenni, infatti, hanno cercato di creare maggioranze artificiali. Il maggioritario semplifica la complessità riducendo innanzitutto il numero dei partiti in Parlamento.

Siccome non si può negare, tuttavia, che gli interessi dei blocchi sociali presenti nel Paese siano confliggenti, si pone il problema di rappresentare questa complessità.

Più voci soffoco, meno interessi arrivano dentro le Istituzioni.

Particolarmente illuminante, in questo senso, una citazione di un ex Presidente del Consiglio Giuliano Amato, anch’egli costituzionalista, che in un suo manuale scriveva: il sistema sociale e il sistema politico sono indivisi. Le domande provenienti dal corpo sociale sono troppe perché sia possibile soddisfarle tutte senza sacrificare gli interessi attualmente soddisfatti.

E allora che cosa bisogna fare? Recidere i canali di trasmissione di queste domande in modo che alle Istituzioni ne arrivino meno. Se ho eliminato i partiti, allora è chiaro che le domande diminuiscono drasticamente. Quelle dei più deboli, in particolare, rimangono fuori.

Dunque, il maggioritario è servito per tacitare il dissenso sociale.

In questi ultimi decenni – così ha concluso l’illustre giurista – un’intera classe è rimasta fuori, quella dei lavoratori. 

di Paolo Di Lella (da ilbenecomune.it)

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