Questa risibile guerra fra bande

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Tutti a parole sono contro tutti, ma sottobanco stringono accordi con tutti, o viceversa

di Pier Paolo Giannubilo

17 aprile 2018

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Saremmo fin troppo generosi nei confronti di noi stessi, se continuassimo a guardare a questa regione semplicemente come a un immodificabile microcosmo neofeudale. Il feudalesimo rispettava un codice fatto di legami d’onore, di fedeltà reciproca, di comunione d’interessi e intenti fra pari. I membri delle consorterie politiche nostrane somigliano invece sempre più a bande armate balcaniche o a fazioni della Beirut anni ’80. Tutti a parole sono contro tutti, ma sottobanco stringono accordi con tutti, o viceversa. 

Un giorno li vedi insieme appassionatamente a dire cheese e prendersi per mano nelle fotografie, e dalla sera alla mattina te li ritrovi a spararsi in fronte da due alture contrapposte come certi mercenari al seguito dei moderni capitani di ventura operanti nelle guerre jugoslave, per poi tornare a scambiarsi sorridenti pacche sulle spalle e ritessere orditi bizantini nelle loro segrete stanze al ricalare delle tenebre. Non sai mai cosa accada nella loro realtà parallela, chi sta con chi, perché e percome. Rotture interne, riappacificazioni, alleanze allo stato mercuriale e baratti di voti telecomandati che riconfigurano di continuo lo scenario secondo schemi estemporanei la cui logica, verosimilmente e paradossalmente, sfugge perfino agli stessi protagonisti.

Il comune denominatore è una totale assenza di visione, di mission, della benché minima prospettiva su un futuro a breve-medio termine. Lo spettacolo dato negli ultimi mesi da fuochi e veti incrociati e accuse al vetriolo e “incompatibilità” e separazioni date per definitive eppure ricomposte a tempo di record in dieci minuti dieci, all’interno delle coalizioni tradizionali, è stato di una malinconia pietosa. È materia da tragicommedia. Da dramma satiresco. Tatticismi da falò delle vanità che, come da prassi, proseguiranno fino alle 7 del mattino del 22 aprile e oltre. Esattamente tutto ciò contro cui il voto di pancia del Molise si è espresso alle Politiche appena qualche settimana fa. Una mazzata fra capo e collo che, con ogni evidenza, non è stata sufficiente a far mutare rotta e cattive abitudini.  

Veneziale, che non è affatto persona meno capace e per bene del suo avversario Toma, è apparso fin dal primo momento un agnello sacrificale e, vuoi o no, questo fardello non se l’è mai scrollato di dosso. Il centrosinistra non è della partita, a questo giro; non lo è mai stato, dopo le consultazioni nazionali - lo sostengono i sondaggi e lo sanno pure i sassi. Domenica prossima la scelta sarà fra il Movimento 5 stelle e l’eterno ritorno dell’uguale. 

E allora, detto senza enfasi, senza ridondanze, senza punti esclamativi, senza più invettive nei confronti di quello o di quell’altro, ché scaldarsi e imprecare non serve a niente, potrebbe pure bastare così. Potrebbe bastare così con Patriciello e Iorio che si lasciano e si riprendono a targhe alterne come fidanzatini di liceo. Potrebbe bastare così coi valvassori e valvassini di paese, gli inossidabili pendolari della politica privi di qualunque credibilità etica. Potrebbe bastare così con le torme di peones e portatori d’acqua fatti confluire nelle mille listarelle-civetta di Toma con la lusinga di potersi giocare il terno al lotto di un seggio.

Questo meccanismo non ha mai avuto né avrà mai una ragion d’essere che non sia la perpetuazione dello status quo. E lo status quo è un palese fallimento. Un’agonia per tutti, amministratori e amministrati. Va liquidato, e pure in fretta.

C’è gente onesta e capace candidata un po’ dappertutto, così come un po’ dappertutto ce n’è altra con la rogna o che non sarebbe in grado di fare la O col bicchiere. Per cui, se è vero che nella lista dei prossimi consiglieri 5 Stelle figurano nomi privi di esperienza, candidati selezionati solo in base a un pugnetto di clic, la cosa non fa molto più scandalo del congruo numero di miracolati e voccaperta che, succedendosi in Consiglio regionale dal 1970 a stamattina, hanno contribuito alla cosa pubblica solo scaldando la poltrona e incassando a fine mese il lauto compenso della propria sinecura, e sulla cui conclamata incompetenza tacciamo da lustri. 

Uno degli aspetti più detestabili della campagna elettorale in corso è fuor di dubbio il tentativo di imbrattare l’immagine del candidato presidente 5 Stelle accanendosi sulla vicenda di sua zia.

La narrazione che si è andata costruendo è nauseante. Specie in considerazione del fatto che ad additare le pagliuzze nelle pupille altrui è gente che va tranquillamente in giro con travi degne dell’accecamento di Polifemo in bella vista nelle proprie. Benché Greco abbia già chiarito tutto quanto, la macchina del fango non si arresta. E chiamare in causa le gogne pubbliche compiute sul Sacro Blog ai danni delle personae non gratae da parte dei compagni di partito di Andrea Greco come a dire “Chi la fa l’aspetti, se la sono cercata…” è un mezzuccio che non fa onore a chi vi ricorre. 

Le aggressioni dei guerriglieri da tastiera simpatizzanti e adepti del Movimento che lapidavano on line (qualcuno l’ha fatto pure col sottoscritto, per dire) chi contestava i loro capi e certe posizioni è stato un obbrobrio. Ma applicare la legge del taglione in questo modo, come se Greco dovesse rispondere di tutti i malvezzi della marmaglia del web italiano, è più stomachevole ancora. Aggiungete le immagini di Matteo Salvini - Matteo Salvini! - omaggiato dalla coalizione di Toma nelle nostre contrade come un salvatore della patria e il cabaret di Silvio l’Immortale… be’, può pure essere, forse ma forse, che basti così. 

Non è infatuazione anticasta dell’ultim’ora, non sono diventato un grillino. È piuttosto aderire a un principio di realtà e avere il privilegio di potersi esprimere con lingua franca e libera dai condizionamenti. Ciò che dovrebbe davvero atterrire i molisani non sono i 5 Stelle, ma la vittoria dell’ennesima frittura di destra locale infarcita di voltagabbana. Ciò che dovrebbe davvero atterrire i molisani è l’idea che da questa palude gattopardesca non si uscirà mai, perché “chéss jè”. Questa becera, consolidata formula di patroni e clientes che non ha più alcuna utilità pratica ha fatto l’acido. Magari ha una data di scadenza impressa da qualche parte. Perché se non dovesse avercela, l’unica cosa sensata da fare, già dal 23 aprile mattina, sarebbe mettersi al lavoro per affrettare la nostra dissoluzione amministrativa nel modo più indolore possibile e reincorporarci negli Abruzzi, e da lì poi Dio pensa. 

Il Molise non può più permettersi di fare ed essere il Molise. Altro che Orgoglio. 

di Pier Paolo Giannubilo (da primonumero.it) 

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