Fiori nei campi anziché pesticidi

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Nuovi studi confermano l’efficacia. Coriandolo, fiordaliso, papavero e altri ancora attirano gli insetti predatori di afidi e parassitisottobosco, ha ampliato notevolmente, con la disgrazia dell'incendio, lo stato della pineta

di Federico Formica (da nationalgeographic.it)

28 febbraio 2018

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Fiori al posto dei pesticidi nei campi di grano. Quello che sembra lo slogan di una associazione ambientalista è in realtà una sperimentazione che si sta facendo sul serio in Inghilterra e in Svizzera. Coriandolo, fiordaliso, grano saraceno, papavero e aneto vengono utilizzati per attrarre gli insetti che attaccano gli afidi e i parassiti più dannosi per la pianta.

Con risultati importanti: uno studio svizzero ha dimostrato che con l'utilizzo di questa pratica è stato abbattuto del 40% il numero delle larve di Oulema melanopus, un coleottero ghiotto di foglie di cereali. Di conseguenza anche i danni provocati alla coltura sono diminuiti - del 61% - rispetto ad altri campi in cui non erano stati piantati fiori.

Le strisce fiorite piantate al bordo dei campi hanno però un limite: gli insetti "buoni" che ospitano non riescono a raggiungere le aree più interne della coltivazione, che hanno comunque bisogno di essere trattate con pesticidi. Ma i macchinari più recenti usati per la raccolta sono sempre più precisi e consentono di mietere il grano senza toccare i fiori.

In Inghilterra, infatti, 

un nuovo studio del Centre for Ecology and Hydrology sta cercando di verificare se gli insetti portati da margherite, trifoglio dei prati, fiordaliso scuro e carota posti nel bel mezzo di campi coltivati abbiano davvero gli effetti benefici sperati. Queste ricerche si inseriscono in un filone più ampio: un autorevole studio francese sostiene che al diminuire dell'uso di pesticidi, produttività e redditività dei raccolti non calano e, anzi, spesso aumentano.

In Italia, agricoltura biodinamica e biologica a parte, l'introduzione di strisce fiorite non è molto utilizzata in colture estensive da reddito. Ma il Crea (Consiglio per la ricerca in agricoltura e l'analisi dell'economia agraria) sta portando avanti diversi studi e sperimentazioni con le cosiddette "colture di servizio agroecologico (Csa)", non da reddito. Sono specie spesso usate come sovescio, come la veccia o il favino, o mix con altre specie e famiglie, inclusi i fiori spontanei. Lo scopo è sempre quello di aumentare la biodiversità dell'ambiente agrario per evitare la diffusione di malattie e il proliferare parassiti e infestanti.

"Facciamo l'esempio dei cavoli: un campo coltivato a brassicacee senza soluzione di continuità è un paradiso per un insetto. Non sorprende, infatti, che la cavolaia (il lepidottero Pieris brassicae ndr) sia un grosso problema per gli agricoltori", spiega Corrado Ciaccia, Ricercatore del Crea Agricoltura e ambiente.

"Ecco perché è importante introdurre degli elementi di discontinuità ('infrastrutture ecologiche' per gli addetti ai lavori) con piante-rifugio per specie utili che, altrimenti, non ci sarebbero, e non potrebbero rivaleggiare con gli insetti indesiderati".

Questi elementi possono funzionare come "corridoi ecologici" favorendo il passaggio di specie selvatiche all'interno dell'ambiente agrario. Un esempio su tutti è la siepe, che al suo interno può ospitare anche piante da fiore, o le stesse colture di servizio agroecologico. In Italia le piante più utilizzate in questo campo sono coriandolo, borraggine, alisso, facelia e grano saraceno.

Negli ultimi anni la ricerca sta lavorando per minimizzare l'impatto ambientale dell'agricoltura. Una strada è quella di trasformare le monocolture in sistemi integrati, ricchi di biodiversità. "Più un sistema agricolo somiglia a un sistema naturale, maggiore sarà la sua capacità di autoregolarsi", continua Ciaccia, che sottolinea però come sia delicato l'equilibrio tra esigenze agricole e la necessità di ridurre l'impatto ambientale.

di Federico Formica (da nationalgeographic.it)

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