Quando fidanzarsi in paese era impresa ardua

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I racconti di Vincenzo Colledanchise hanno la maturità che solo il trascorrere del tempo può produrre

di Vincenzo Colledanchise (fb)

27 febbraio 2018

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Fare il primo passo era difficile. Capitava che i genitori non erano d'accordo, una certa condizione sociale spingeva ad emettere certi giudizi, ad opporsi a delle scelte emesse da un rigido sistema sociale.

Ma l'amore aveva la sua forza, la sua bellezza, pur articolandosi tra mille difficoltà, era una voce difficile da far tacere nell'esuberanza dei venti anni.

Protagonista assoluta dei primi approcci era la timidezza, segno di un carattere inibito, riservato e poco confidenziale; quella atavica distanza dall’altro sesso procurava un turbamento tale che al solo sguardo sconvolgeva.

Oppure erano parole e sguardi casti, come per mostrare all’altra una sorta di verginità del sentimento. Ma anche le ragazze erano inibite a causa di una severa educazione familiare e da un controllo stretto ed esasperato.

Ognuno si vergognava dell'altro, poche parole e tante inibizioni, la gioia dell'amore rimaneva segreta, era come qualcosa che bisognava nascondere. In paese allora ci si innamorava più con sguardi ed ammiccamenti che con esplicite parole.

A volte tale “strategia” veniva usata anche in chiesa, unico luogo lecito di aggregazione collettiva tra i due sessi. E quando non bastava aver fissato per tutto il tempo della cerimonia liturgica la prescelta, grande era l’attesa di vederla finalmente scendere lungo l’ampia scalinata del sagrato della chiesa.

Gli uomini tutti giù a guardare e rimirare le donne e a spiarne le languide movenze, e queste, alquanto impacciate perché osservate, costrette ad esibirsi, loro malgrado.

di Vincenzo Colledanchise (fb)

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