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L' emigrante italiano in Germania, nel 1960

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Germania, nel 1960

I racconti di Vincenzo Colledanchise hanno la maturità che solo il trascorrere del tempo può produrre

di Vincenzo Colledanchise (fb)

12 febbraio 2018

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Dopo accurata visita al Consolato tedesco di Verona la domanda di emigrazione di Nicola fu accolta.

Nell’aprile del 1960 raggiunse la Baviera per lavorare come giardiniere.

In quella terra lontana e fredda l’ostacolo maggiore era la lingua, si sentiva un sordomuto non sapendo esprimersi in quell’idioma astruso. Veramente trovava difficoltà ad esprimersi anche in italiano, avendo parlato sempre solo il dialetto del paese. 

Il sabato, incontrando nei negozi qualche connazionale, si rincuorava e ne approfittava per servirsene come interprete, ma soprattutto per scambiare quattro chiacchiere.

Si sentiva emarginato, a volte sul lavoro veniva discriminato dai colleghi tedeschi che gli ricordavano ancora il vecchio tradimento dell’ultima guerra.

In Germania aveva mutato abitudini: aveva imparato ad attendere ansioso il giorno di sabato per riposarsi, anziché solo la domenica, come in Italia, In quel giorno gli veniva dato il salario e per non impazzire di nostalgia, si era convertito agli usi teutenoci che vedevano i tedeschi rintanarsi in quel giorno nei gasthaus a bere litri di birra.

La birra a lui non piaceva, ma gli era di pretesto per stare in compagnia; avrebbe desiderato bere vino, ma non era buono, e per giunta molto costoso.

La domenica la utilizzava per le pulizie, sia personali che della baracca nella quale dimorava con altri dodici connazionali.

Avrebbe voluto starsene immobile nella piazza a guardare la gente, come aveva sempre fatto in paese, ma lì non si usava starsene da solo, impalato, gli era pure di impaccio perché veniva guardato con sospetto dai tedeschi.

di Vincenzo Colledanchise (fb)

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