Riparo mortale I racconti di Vincenzo

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I racconti di Vincenzo Colledanchise hanno la maturità che solo il trascorrere del tempo può produrre 

di Vincenzo Colledanchise (fb)

10 gennaio 2018

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Dal mulino ad acqua, a ridosso del vecchio ponte, il contadino aveva già ripreso la strada per tornare al paese, nonostante il tempo minacciasse la pioggia, mentre all’orizzonte apparivano alcuni lampi. 

Il mugnaio l’aveva supplicato di non avventurarsi in quelle condizioni, ma lui, caparbio, aveva voluto mettersi in cammino comunque. 

L’irta salita della Selva la superarono entrambi velocemente, sia lui, sia il vecchio asino che, nonostante il carico di due grossi sacchi di farina sulla soma, cercava di essere al passo del padrone.

Giunti alla Carrera, entrambi esausti e madidi di sudore per la marcia frenetica, avvertirono le prime grosse gocce d’acqua, ma soprattutto si spaventarono nell’udire il rombo basso e prolungato d’un fulmine.

Accelerarono ulteriormente il passo, ma ormai il cielo nero, come la fuliggine del camino, era rischiarato solo da paurosi lampi saettanti.

Più per salvare la preziosa farina nei sacchi, che proteggersi dalla pioggia, il contadino decise di mettersi al riparo sotto la grande quercia secolare.

Improvvisamente un fulmine folgorò entrambi, uccidendoli. 

Solo all’indomani, alcuni contadini che avevano preso la Carrera per andare ai loro campi, si imbatterono in quel triste spettacolo di morte e di desolazione: il contadino con la cavezza ancora in mano, paurosamente ustionato, e l’asino e il suo carico completamente rinsecchiti dalla folgore. 

Quelli della Congrega della Carità andarono a prelevarlo con la loro lettiga salmodiando lungo il percorso e per non destare repulsione per l’orrenda deturpazione del volto del malcapitato, fu ricoperto da un panno, mentre per l’asino alcuni contadini provvidero a seppellirlo sul posto. 

Ancora oggi, sotto la grande quercia, una arrugginita croce in ferro, con le iniziali dell’uomo e a ricordo dell’accaduto, rammenta ai viandanti l’inopportunità di mettersi al riparo sotto gli alberi durante i temporali.

di Vincenzo Colledanchise (fb)

Caro Vincenzo, nei tuoi racconti rivedo il ragazzo seduto all’ultimo banco, rivedo la professoressa d’italiano leggere i tuoi componimenti dopo la correzione. Uno stile giornalistico il tuo che non si integrava con gli studi ai quali eravamo stati assegnati entrambi. Si assegnati, poiché all’epoca, dopo le scuole medie, le indicazioni fornite dagli insegnanti non si basavano tanto sulle inclinazioni degli alunni, bensì sulla classe sociale alla quale si apparteneva. Ci siamo pertanto ritrovati ad affrontare materie non nostre con enorme difficoltà, primeggiando, come era logico che fosse, solo nelle materie letterarie. Leggendo oggi i tuoi brevi racconti, mi accorgo che nulla è cambiato, saresti ancora il migliore ed io dopo di te.

Certo non vi è più traccia dello stile giornalistico che caratterizzava i tuoi compiti. Oggi i tuoi racconti hanno la maturità che solo il trascorrere del tempo può produrre. In essi assaporo lo stile di uno dei miei scrittore preferiti, Piero Chiara. Mi auguro tu possa raccogliere e pubblicare tutti i tuoi racconti (ndr: impiantati su vite vissute a Toro (CB), suo paese natale, e che attingono alla cultura della civiltà contadina) , poiché sono convinto che, così come lo furono per noi della sezione B dell’Istituto Tecnico Industriale “G.Marconi”, e per gli insegnati, essi testimoniano una capacità di scrittura non comune e una rappresentazione storica di una civiltà contadina e operaia a noi cara, che tutti dovrebbero conoscere, soprattutto i nostri figli.

di Luigi D'avorgna (fb)

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