Nuovi sentieri

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Tornare a leggere e a curare il territorio è la prima grande innovazione in grado di unire cultura ed economia: la prima fase è quella della conoscenza

di Rossano Pazzagli (da lafonte.tv)

23 novembre 2017

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Il Molise è una regione di paesi. Li aveva ben analizzati Edilio Petrocelli in un vecchio e ormai introvabile libro del 1984 (Il divenire del paesaggio molisano), nel quale descriveva il paesaggio e classificava i paesi in centri di vetta, di valle e di strada, restituendoci i caratteri originari e le trame geografiche e storiche del contesto regionale. Tornare a leggere e a curare il territorio è la prima grande innovazione in grado di unire cultura ed economia: la prima fase è quella della conoscenza, alla quale deve seguire quella della tutela e poi quella della valorizzazione. Senza le prime due non può esserci neanche la terza. In questa filiera giocano un ruolo fondamentale la consapevolezza delle risorse locali, la collaborazione dei livelli istituzionali, sia in senso verticale che orizzontale, e soprattutto l’integrazione dell’offerta di un territorio.

Se noi leggiamo il Molise utilizzando questa ottica, cioè quella delle risorse intese come combinazione di fattori naturali e segni antropici, ci accorgiamo che essa è indubitabilmente una regione che non solo è abbastanza ben dotata, ma che dispone anche di una ancora buona capacità di documentazione di queste risorse, a cominciare dalle persistenze storiche, dai beni culturali e dai giacimenti gastronomici. Non si tratta soltanto di nicchie. I giacimenti gastronomici sparsi sul territorio molisano non sono semplicemente cibi da assaggiare o mezzi di convivialità, ma anche strumenti per produrre valore economico; analogamente, i paesi del Molise non sono soltanto posti da visitare per constatarne il declino o per celebrare il bel tempo andato, ma luoghi vivi nei quali intravedere brani di futuro. Cibo e paesi sono un patrimonio prezioso; essi assumono in un certo senso le stesse valenze delle opere d’arte, per cui possono diventare meta turistica laddove non ci sono altre attrattive rilevanti: non il turismo di massa, ma quello dell’esperienza o della saggezza. È importante chiarire di quale turismo si parla, perché la storia del turismo anche nel nostro Paese è quella di uno sviluppo che per lungo tempo ha proceduto a salti e per comparti: il balneare, il montano, le città d’arte, il religioso, ecc., creando talvolta dei mostri, al punto che oggi non siamo più in grado di gestire le città d’arte congestionate, i santuari massificati, le coste maltrattate e così via. Il disegno di una strategia consapevole per il turismo deve cominciare mettendo insieme (a sistema, come si dice) il mare con l’entroterra, i borghi storici, la montagna, l’enogastronomia, i tratturi, le tradizioni. È così che, nell’insieme, regioni come questa tornano a giocare la partita dello sviluppo alla pari delle altre. Bisogna cercare nuovi sentieri nell’ orizzonte globale della crisi.

Non ci preoccupiamo più di copiare le altre regioni, che sono state forti in un modello di sviluppo che ora sta mostrando tutti i suoi limiti. Così facendo non otterremo altro che un anacronismo: arrivare tardi su un sentiero di sviluppo che non ha funzionato. Per questo le aree marginali del Paese o i “territori alla deriva” possono non solo trovare al loro interno dei sentieri, stretti ma possibili, ma possono anche essere un laboratorio di sperimentazione per nuove forme di economia e nuovi modelli da offrire anche agli altri contesti, alle aree sviluppate che oggi sono schiacciate anch’esse dal peso della crisi. Possono rappresentare, come ha scritto poeticamente ed efficacemente Franco Arminio, “il vetrino su cui appoggiare la goccia insanguinata dei nostri giorni”.

Abbiamo detto che il territorio come risorsa e bene comune deve essere il punto di partenza. Esso deve essere anche collegato, attraversato, relazionato all’interno in tutte le sue componenti. Per questo il tema dei sistemi infrastrutturali deve essere affrontato in modo nuovo, non solo progettando frecce che attraversino un territorio lasciando soltanto qualche uscita (leggi autostrada), ma considerando anche le reti della viabilità storica, la cura e la funzionalità della rete stradale minore, provinciale e locale, che rappresenta il sistema di circolazione di una regione come il Molise che sul lungo periodo non è mai stata pensata per essere attraversata da est a ovest e che ha sempre avuto delle arterie di mobilità tendenzialmente non orizzontali, ma longitudinali. Però quello era il sistema della transumanza e dei tratturi, forse l’ unica vera rete infrastrutturale che il Molise abbia sperimentato. Finita la transumanza si è perso questo collegamento di tipo longitudinale che non siamo riusciti a trasformare in altri itinerari di traffico e di mobilità e non siamo riusciti a ripensare al Molise in orizzontale. Oggi questo ripensamento deve obbligatoriamente avvenire, non tanto rispetto ad un improbabile contesto globale, ma prima di tutto a partire dalle risorse e dalle funzioni interne del territorio, dalle gerarchie territoriali che oggi non sono più così chiare come nel passato, quando Isernia, Campobasso e Larino (più tardi Termoli) costituivano chiaramente i capoluoghi delle diverse zone che compongono il Molise.

È necessario rafforzare la rete costituita dai piccoli centri e dai Comuni del Molise, considerati come contenitori di un patrimonio ambientale e culturale diffuso, che può essere fortemente valorizzato dal punto di vista economico e turistico in primo luogo. Grazie ad esso è possibile uscire dalla marginalità, forti di quello che la marginalità ha permesso di conservare nel tempo. I centri storici del Molise, infatti, borghi e paesi che sono veri e propri scrigni di storia, architetture e tradizioni, pur non essendo sempre ben tenuti, si rivelano spesso, ad uno sguardo nuovo e attento, belli e leggibili, potenzialmente in condizioni di partenza migliori di quelli di altre regioni più toccate dallo sviluppo edilizio che ne ha snaturato la struttura urbanistica e le funzioni. Sarebbe possibile lanciare un vasto programma di investimento sui paesi in termini di restauro, conservazione, rivitalizzazione produttiva, dotazione di infrastrutture e servizi? Questa sarebbe una via maestra nell’era telematica e del bisogno della qualità della vita che le metropoli non sono più in grado di assicurare

di Rossano Pazzagli (da lafonte.tv)

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