Il brigante è ridisceso in paese

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Il brigantaggio è un fenomeno della montagna, in questo caso il Matese. Il brigante solo raramente ed in modo furtivo scendeva a Rocca, mentre oggi vi sta, seppure in forma di statua, stabilmente

di Francesco Manfredi Selvaggi (da ilbenecomune.it)

14 novembre 2017

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L’idea della statua del brigante collocata all’interno del nucleo storico non è una cosa tanto diversa dalle raffigurazioni scultoree posizionate già da anni dentro l’abitato di Casalciprano. Queste ultime rientrano in un progetto più ampio finalizzato alla costituzione di un museo, questo dedicato alle tradizioni popolari, il quale è articolato in più sedi, quindi al chiuso, e di una serie di installazioni su strada, pertanto all’aperto. A Roccamandolfi, invece, la figura del brigante è collegata, invece che ad una raccolta museale sulla storia del brigantaggio, ad un itinerario tematico.

Tutte e due le esperienze hanno, comunque, qualcosa in comune che è quella di invogliare alla visita della parte più antica dell’insediamento urbano nella quale le opere sono collocate, attraverso proprio l’esposizione di queste, per così dire, attrazioni. Un’altra tematica che le accomuna è il fatto che siamo di fronte a raffigurazioni stilizzate, a Casalciprano di bambini intenti a fare giochi tradizionali, a Roccamandolfi di un popolano avvolto in un mantello che nasconde il fucile, con dettagli sommari dell’abbigliamento e del volto, connotato che li fa assomigliare piuttosto a pupazzi che a figure realistiche; ricordano per tale loro carattere i manichini che spesso troviamo nelle sale museali, a differenza dei quali sono costituiti da materiale non deperibile perché, situati come sono all’esterno, sono esposti alle intemperie.

Si tratta sempre di una teatralizzazione, nel senso che attraverso una autentica messa in scena, a Casalciprano dei piccoli che giocano, a Roccamandolfi dell’individuo che si nasconde nel suo stesso vestito, si raccontano episodi della vita del passato e ciò appartiene alle tecniche della museografia. Una annotazione a margine che si ritiene doverosa è che è impropria concettualmente alcuna comparazione con la nobile tradizione del tableau vivant cui appartengono anche i Misteri di Campobasso con i quali è possibile qualche confronto solo per il fatto che siamo di fronte a quadri teatrali «cristallizzati» e che sono scene ch si svolgono en plein air, sussistendo una distanza abissale oltre che per la ragione che sui carri del capoluogo regionale vi sono persone in carne ed ossa, soprattutto in quanto gli «ingegni» sono creazioni di Paolo Saverio Di Zinno, famoso scultore settecentesco, e, pertanto creazioni artistiche, faccende non di poco conto; in ultimo si fa notare che i Misteri sono composizioni moventi, con lo scenario alle spalle che muta continuamente nel loro spostamento lungo le vie cittadine, al contrario di quanto realizzato a Roccamadolfi e a Casalciprano che ha il carattere della fissità.

Abbiamo definito quella precedente una osservazione marginale (in verità, diverse) la quale, comunque, è utile per alcune riflessioni che serviranno per avvalorare quanto si espliciterà successivamente- la prima è che essendo in presenza di un gesto teatrale, a Rocca (per abbreviare) e a Casalciprano, è insito in sé che questa sorta di spettacolo abbia una trama, anche se fosse un «atto unico» e, di conseguenza, un inizio e una fine (magari ripetendosi dopo un anno come succede per i Misteri).

La seconda è che i manufatti statuari nei due paesi hanno uno sfondo immobile, situazione che contrasta con l’idea di teatro che è, nella sua essenza, profonda, vita (per capirci gli attori quando recitano si immedesimano nel personaggio), in definitiva cambiamento. Gli spettatori, a differenza di quanto avviene con i Misteri, che nella loro sfilata si offrono alla vista della popolazione la quale rimane ferma, devono camminare per assistere, specie a Casalciprano, all’episodio rappresentato. A Rocca dove ve ne è uno solo, conta molto il percorso da compiere per raggiungerlo il quale non va considerato scontato, semplicemente seguire via Roma passando pressappoco dalle scuole, potendosi immaginare itinerari alternativi, magari per accentuare l’effetto sorpresa alla vista del brigante.

Le direttrici di avvicinamento a questo che può essere inteso il momento culminante sotto l’aspetto emotivo sono frutto di vere e proprie scelte progettuali; nell’ottica esposta ha senso rimuovere dal sito attuale, dopo un certo tempo, la statua per ricollocarla altrove in relazione ad una differente proposta di percorrenza. La temporaneità, è questa la valutazione di tipo generale che si è annunziata in precedenza, è quanto questo intervento deve perseguire. Nell’ottica dell’iniziativa museale in cui inserire ambedue le operazioni di Rocca e di Casalciprano, della quale si è discusso all’inizio è sempre la periodicità a renderle comprensibili.

Un museo il quale spesso nasce dalla stabilizzazione di una mostra (lo dimostra proprio Casalciprano) ha bisogno in qualche modo di rinnovarsi ogni tot di tempo, altrimenti rimanendo statico i visitatori che già lo hanno visto non hanno interesse a tornarvi. Detto in altre parole perde di attrattività, a meno che, è ovvio, non si allarghi la platea del pubblico, potenzialmente ampia, che nutre curiosità per la storia del brigantaggio, ma per conseguire tale obiettivo occorrono campagne di marketing a lungo raggio. Per tener viva l’attenzione su una qualsiasi tematica è necessario organizzare conferenze, spettacoli con ricostruzioni in costume di episodi accaduti all’epoca dei briganti, passeggiate nei luoghi di fuga e di nascondiglio, ecc…

Bisogna partire, è evidente, dalla predisposizione di un centro visita dove raccogliere ed esporre riproduzioni di documenti storici relative alle vicende che sconvolsero il paese all’indomani dell’Unità d’Italia, mappe nelle quali siano indicati posti, quali la casa nativa del brigante, il punto in cui avvenne la sua cattura e così via. È opportuno, pure, l’effettuazione di ricerche e la pubblicazione di libri, come ospitare mostre provenienti da altre realtà, si sta pensando alla Basilicata, che hanno vissuto tale fenomeno e che ne hanno fatto un motivo di attrazione turistica.

Per fare ciò di certo occorre creare un organismo di promozione e di gestione perché tutto il lavoro non può ricadere sulle spalle della Pro Loco. Si propone, poi, che qualora non si abbiano a disposizione i mezzi economici per trasferire in siti determinati da ulteriori ideazioni museografiche, di cambiare (sempre all’interno di un progetto di museo all’aperto) il significato di questa scultura che può facilmente essere interpretata come l’immagine di un uomo del popolo con abbigliamento invernale ottocentesco nascondendo l’arma, l’unico elemento che lo identifica quale brigante, con un cartello in cui vi è l’indicazione che si è di fronte ad una figura rappresentativa del tipico brigante della Roccamadolfi del passato; è un po’ quanto fece il faraone Ramses quando cambiò l’iscrizione della targa della statua di un suo predecessore attribuendola a sé stesso.

Va precisato, infine, che questa statua non vantando valenze artistiche né avendo uno scopo celebrativo commemorativo non ha connotati di sacralità che ne impediscono una sua reinterpretazione. Non può essere intesa neanche alla stregua di un componente di arredo urbano perché non c’è da abbellire l’ambiente in cui è situata, costituendo esso uno dei momenti più belli di uno dei centri antichi più belli di una delle aree più belle del Molise, quella matesina.

di Francesco Manfredi Selvaggi (da ilbenecomune.it)

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