Lettera a mio fratello

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Oggi è la giornata dei morti e voglio onorarla con la “lettera”, pubblicata sul mensile “la vianova”, che scrissi a mio fratello 25 anni dopo la sua scomparsa

di Giovanni Germano (da “la vianova” Nov/1997)

02 novembre 2017

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Duronia. Notte del 17 novembre 1997.

 Fuori piove, Elio. L’inverno s’avvicina. La stanza è pregna d’umidità, il foglio pure. La penna stenta a scrivere. Intanto nella mia mente s’affollano i ricordi....

La camerata del convitto, a Isernia dai Salesiani, era così grande! Tutti quanti voi delle medie a dormire lì. Noi delle superiori invece, più fortunati, al piano rialzato in tre camerate più piccole. Faticai molto a convincere il Direttore a lasciarmi dormire nella vostra camerata. E così, il letto vicino al tuo, la mia presenza vicino a te, per tanti mesi, incominciò a segnare indissolubilmente le nostre vite di fratelli ed amici. L’anno scolastico era appena iniziato in quel lontano 1964 e mamma ci aveva lasciato appena il mese prima. La notte piangevi ed io passavo ore intere seduto sul tuo letto a rincuorarti, nascondendo a fatica le mie lacrime. Facilmente ti scoprivi la notte ed io venivo a rimboccarti le coperte. La mattina ti aiutavo a vestire, ti allacciavo le scarpe e ti rifacevo il letto. Spesso ti abbracciavi a me disperato...ma io avevo solo sedici anni. Sentivo di violentare la mia adolescenza per diventare l’adulto di cui tu avevi bisogno. Incominciasti a crescere alla mia ombra in quei mesi terribili. 
 L’ingiustizia che si era abbattuta sulla nostra famiglia, che privava cinque figli della propria madre proprio nel momento in cui ne avevano più bisogno, segnò i nostri animi e finì per portare le nostre sensibilità a voler far fronte alle ingiustizie che colpivano, in senso più lato, il mondo degli umili e degli oppressi. Valori ideali spinsero prima me e poi te verso ideologie totalizzanti, che dovevano indicarci la “via” da percorrere per riscattare le sorti dei meno abbienti in qualunque parte del mondo.
“Sentiate su voi stessi ogni ingiustizia commessa contro chiunque in ogni parte del mondo” scriveva in quegli anni E. Che Guevara ai figli dalla Bolivia.
 La nostra vita segnata dal bisogno di stare, contro i potenti, dalla parte degli ultimi. L’estrema scelta di Antonio, nostro fratello missionario e nostro faro perenne: la sua per fede, la nostra per passione civile. Per motivi di studio, tu a Cremona, io a Roma a formarci e a scontrarci sulla piazza. La scuola, i collettivi, le occupazioni, il contatto con i problemi vivi delle persone nei quartieri, nelle fabbriche, nelle campagne. La lotta e il rischio. La consapevolezza di continuare una battaglia ideale intrapresa da generazioni precedenti alla nostra, sicuri di arrivare in poco tempo alla vittoria finale. Un fuoco rovente che, in quel periodo, riscaldava milioni di giovani a Roma come a Cremona, in Italia come in Francia, in Europa come in America. Un fuoco ardente che fece scoppiare, attraverso me e te, la sua prima scintilla anche nella piccola fucina duroniese. Una scintilla che divampò come un incendio nell’apparente quiete paesana, quando riuscimmo a costituire un gruppo di giovani che a viso aperto volle battersi contro le ingiustizie locali, patite per lo più per colpa di una amministrazione pubblica, che incarnava nel locale la caratterizzazione clientelare del potere politico imperante a livello nazionale. Un gruppo di giovani solidali e coraggiosi. Ilde, Rocco e Felice, Alberto e Elio, Andrea e Silvana, Franco, Alfredo, Maria, Giacinto e tanti altri. Le tensioni in famiglia, con gli amici, con il parroco. Le prime dure contestazioni. Le prime iniziative ed i primi risultati. La mentalità duroniese che si andava timidamente schiudendo, la possibilità di parlare e confrontarsi sui problemi più svariati di Duronia e del mondo intero.
 Fu in quel periodo che buttammo le basi per un “Progetto Duronia”, un progetto di studio e di analisi, ma anche un progetto di trasformazione della realtà locale basato sulla partecipazione attiva e democratica a livello politico e sociale e sulla continuità critica a livello storico e culturale. Forte era la convinzione  che trasformando noi Duronia, ed altri una infinità di diverse realtà locali, si trasformasse il mondo intero. 
 Eravamo pregni di queste passioni ideali, ma anche di dubbi. Il tuo spirito critico e libero aleggiava su ogni nostra azione. Ogni giorno una conquista. Poi per te l’ultimo giorno. Una fredda notte di gennaio ti ha portato via. Per sempre. Un giorno mancava al tuo ventesimo compleanno quando ci hai lasciato, quando mi hai lasciato. 
 Venticinque anni sono passati, fratello mio.
 Venticinque lunghi anni, che come fiumi in piena, hanno travolto noi superstiti e stravolto le nostre ideologie. Categorie di valori abbattute da eventi inattesi. Regimi sepolti, bandiere nel fango. Il cuore offeso. Ma la speranza non è morta... e la lotta continua.
 (…) Gli ideali! Fratello mio, la promessa che ti feci, quando ti baciai per l’ultima volta in fronte, fu che avrei continuato sino alla fine ad affrontare le fatiche del cammino sulla strada della speranza. Ma all’interno delle mura gozzovigliare alla tavola del Signore assoda i muscoli della pancia, allenta la forza della mente e rallenta i battiti del cuore. I vassalli, i valvassori ed i valvassini, soldati feroci e servili, difendono e si accaparrano anche le briciole, ora solo le briciole. (…) La speranza non è morta... e la lotta continua.
 Fuori piove, Elio, e nella mia mente si affollano i ricordi.

Ciao, Giovanni.

di Giovanni Germano (da “la vianova” Nov/1997)

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