UN SINGOLARE RITO FUNEBRE

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Favola bengalese che vuol far riflettere

di p. Antonio Germano Das, sx.

5 ottobre 2017

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BREVE PREMESSA. Il racconto in bengalese porta il titolo PARI-NA e cioè: NON-POSSO. Ho preferito dare al racconto un titolo diverso, perché tutta la storia è incentrata sul rito di sepoltura di questo PARI-NA, che è dentro ciascuno di noi, come era dentro gli alunni della scolaresca in questione. L’autore del racconto, oltre ad essere un grande educatore, era anche un pedagogo illuminato. Infatti non solo lui stesso di persona era tutto dedito all’insegnamento, ma si preoccupava anche di preparare i suoi insegnanti, mettendo in atto un metodo di insegnamento capace di coinvolgere gli alunni e renderli creativi. Quando fu scritto questo racconto, in Bangladesh l’analfabetismo era ancora molto diffuso e varie iniziative furono messe in atto per affrontare il problema. Le iniziative confluirono in quella che fu chiamata Adult Education. Il caso qui riferito è tipico di quel periodo. Tra i libri che Lucio Ceci ha scritto ce n’è uno intitolato Shikhok keno? e cioè: “Maestro perché?” Protagonista del libro è un giovane insegnante assegnato ad una scuola di villaggio disastrata e con affluenza di alunni quasi nulla. Con iniziative di vario tipo egli riesce a rianimare quella scuola coinvolgendo tutta la gente del villaggio ed ottenendo una risposta tale che alla fine le aule scolastiche non bastavano più e fu necessario assumere altri insegnanti. Il libro io l’ho adoperato con i miei 45 insegnanti, con i quali mi incontro una volta al mese. Ne ho distribuito una copia per ciascuno. Ne ho esigito la relazione orale di quello che avevano letto. La seconda tappa è stata quella di tradurre il libro in inglese e questo, naturalmente, ha aumentato la mole del mio lavoro. L’insegnante di questo racconto è una donna e si chiama Nazma. L’appellativo con cui gli alunni la chiamano è APA, che equivale al nostro signora o signorina.PARI-NA, viene definito dall’autore boro bhai (fratello maggiore), che ha due fratelli, rispettivamente mejho bhai (fratello medio) e choto bhai (fratello minore).

 

Fuori pioveva. Nazma apa non riusciva a tenere a freno gli alunni. Nozrul non ce la faceva in matematica, Khokon non ce la cavava col suo bengalese e Babul non riusciva a spuntarla col suo inglese. Sembra che oggi nessuno riesca in alcun soggetto. Nazma apa, a forza di insistere, cade a sedere esausta. Ha dinanzi, tra piccoli e grandi, 32 teste dagli 8 ai 14 anni. Quelli della loro età dovrebbero già frequentare l’High School ed essi sono tutti in prima elementare. Quello che riusciranno ad imparare quest’anno durante due ore di scuola al giorno rimarrà nella loro vita e più di tanto non impareranno. Il valore della loro intera vita poggia su queste due ore e loro continuano a dire: PARI-NA (non posso) come il bambino di Lat shaheb.

Improvvisamente nella mente di Nazma apa si accese una luce. Si alzò e disse: “Chiudete tutto, libri e quaderni”. In un batter d’occhio libri e quaderni furono chiusi. “Adesso apa si siederà sulla stuoia e comincerà a raccontarvi una storia che vi farà ridere...”. Ma apa non si sedette; andò alla lavagna e disegnò un pupazzo. Vi scrisse sopra a lettere capitali: PARI-NA (non posso). “Conoscete questo signore? Si chiama PARI-NA. Questo signore dimora con voi per tutta la durata della giornata. Pensateci un po’ e ditemi quante volte oggi avete pronunciato il suo nome... Adesso statemi a sentire: Io darò a ciascuno di voi un foglio. Prima, però, chiudete un istante gli occhi; raccoglietevi in silenzio e, mentalmente, fate un elenco di quello che non siete capaci di fare... Ora prendete il foglio e scrivete tutti i vostri PARI-NA.

I ragazzi incominciarono a scrivere: non posso in matematica, non posso in bengalese, non posso giocare a pallone, non sono capace di cucinare, non so cucinare, non so lottare, non sono capace di salire sugli alberi, non so andare in bicicletta... I fogli furono presto riempiti. Nel frattempo Nazma apa aveva preparato una scatola di cartone. Poi si recò alla lavagna e tracciò due linee incrociate sul pupazzo: “Ecco, vedete? Oggi, 15 luglio 1995 PARI-NA è morto! PARI-NA non c’è più! Quando una persona muore, tutti quelli che l’hanno conosciuta cosa fanno?” “Tutti piangono”. “Allora noi tutti adesso piangiamo”. Ragazzi e ragazze cominciarono a piangere. Mentre piangevano, qualcuno di loro cominciò a dire: “Ohimé! Quel signore quanto era buono! Che cosa ne sarà di noi adesso?... Così, per 3 o 4 minuti tutti continuarono a piangere. “Quando uno muore, dopo aver esternato il proprio dolore, la gente cosa fa?” “Gli dà la sepoltura!”. “Bene! Allora portate i vostri fogli, metteteli dentro la scatola e andiamo a seppellire PARI-NA. Venite uno alla volta e depositate i vostri fogli”. Ragazzi e ragazzi in silenziosa processione portarono i loro fogli e li depositarono nella scatola. Alla fine Nazma apa sigillò il coperchio della scatola. Nel frattempo da una casa contigua Nozrul aveva portato una zappa.

Aveva smesso di piovere. Nazma apa con la scatola in mano, a passo lento, s’incamminò verso l’angolo estremo del campo da gioco. Tutti in fila la seguirono. Nello scavare la fossa, l’uno dopo l’altro, presero la zappa. Arrivati a 60/70 centimetri di profondità, Nazma apa depositò la scatola sul fondo e fece l’elogio funebre di PARI-NA: “Miei piccoli fratelli e sorelle, quel signore che è morto è stato con noi tanti giorni. Egli sulla strada dello studio e sulla strada della vita ci ha fermati mille volte. Noi volevamo imparare, ma lui ci diceva: tu non puoi! Allora noi ci fermavamo. Volevamo leggere e lui diceva: tu non puoi! Volevamo salire sugli alberi, volevamo correre, giocare a pallone e quante altre cose volevamo ancora fare, ma lui diceva: tu non puoi! Adesso lui non ha più nessun potere. Sono vivi soltanto i suoi due fratelli: il mejho bhai, che si chiama MI SFORZERO’ ed il choto bhai, che si chiama POSSO.  In loro compagnia andremo avanti sulla strada della vita. Compiamo adesso l’ultimo atto”. Nel giro di pochi minuti tutti insieme riempirono la fossa. Nazma apa vi pose sopra un mattone, su cui c’era scritto: “PARI-NA, 15.07.95”. Dopo di che tutti, facendo lamenti ad alta voce, rientrarono in classe. Lì, mangiando riso soffiato mescolato a melassa, commemorano la dipartita di PARI-NA.

Dopo questo evento passarono tanti anni. Nazma apa si era sposata, aveva avuto dei figli ed era andata ad insegnare altrove. Un giorno tornò alla casa paterna e si recò a far visita alla scuola di 20 anni prima. La scuola si trovava sullo stesso posto, ma l’edificio era molto più grande. Non era più una capanna, ma una costruzione in muratura. Non c’era una classe sola, ma tre classi. Quando apa arrivò, era in corso la lezione. Nazma apa cominciò a guardare da lontano. Improvvisamente da un’aula vennero fuori in fila 30 alunni, che si accodarono dietro la loro maestra. Insieme s’incamminarono verso l’angolo estremo del campo da gioco. Nelle mani della maestra c’era una scatola... “Il volto della maestra...,ma è proprio lei! Il volto della maestra è delicato come quello della ragazza Yasmin!...

Quando la cerimonia ebbe termine, Nazma apa sbirciò verso la porta. Yasmin la riconobbe: “Nazma apa! E’ lei!” “Yasmin, io non potevo immaginare che tu un giorno avresti fatto questo lavoro”. “Perché?... PARI-NA è morto!... Non si ricorda? Oggi noi abbiamo ricordato l’anniversario della sua morte. Ecco, guardi: quando i miei scolari dicono IO NON POSSO, allora io dò loro in mano un fiore da deporre sulla tomba nel punto estremo del campo da gioco. Quando vanno lì, cosa fanno? Dillo tu, Rabeya”. “Essi poggiano l’orecchio sulla tomba e dicono: ma tu sei proprio morto? Poi si alzano e dicono: se tu sei veramente morto, allora noi possiamo fare tutto. Poi, tornati in classe, dicono a tutti: fratelli tutti, lo sapete? PARI-NA è morto, adesso noi possiamo tutto”. Gli altri scattando in piedi, in coro rispondono: “Adesso noi possiamo tutto!”. 

di p. Antonio Germano Das, sx.

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