MENHO

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Favola bengalese che vuol far riflettere

di p. Antonio Germano Das, sx.

29 settembre 2017

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BREVE PREMESSA. L’autore del racconto, Lucio Ceci, da me citato più volte, trascorse gli ultimi anni della sua vita lavorando nella zona di Chittagong (in bengalese: Chottogram). Come in antecedenza era venuto in contatto con i fuoricasta e si eraprodigato per far capire loro l’importanza dell’educazione, intesa in senso globale, anche qui svolse la stessa missione tra i tribali, che in Bangladesh come in altre parti del mondo non hanno vita facile. La zona di Chittagong (Chittagong Division) è una zona di confine, a nord con l’India e a sud con Myanmar e in questi giorni è alla ribalta della cronaca per la triste vicenda dei profughi Rohinga. Per saperne di più a riguardo, basta digitare su internet Chittagong Hill Tracts.

Protagonista del racconto è Menho (pronunciare Men e poi ho aspirato), una ragazzina tribale, venuta in città con i genitori e rimasta orfana per la morte del papà in un incidente stradale. La vicenda narrata è verosimile, ma penso sia stata architettata dall’autore per instillare nella gente il senso di collaborazione (vedi Menho e Sheli, due ragazzine tokai, l’una tribale e l’altra bengalese) e di altruismo (vedi l’esempio del papà di Menho, seguito dalla figlia: tutti e due mettono a repentaglio la propria vita per salvare quella di un altro, oltretutto, sconosciuto).

***

Menho è una ragazzina di otto anni. Abita a Chottogram. I suoi genitori provengono da Bandorban. Suo padre guidava il rickshaw, ma un giorno finì sotto la ruota di un camion e morì. Adesso Menho vive da sola in casa. La madre lavora in casa d’altri; nel pomeriggio ella porta a casa del riso avanzato, se lo dividono in due e mangiano. Dopo aver mangiato hanno ancora fame e pensano: quando potremo mangiare ancora? Menho ogni giorno può osservare una ragazzina come lei, che gira con una borsa di plastica in una mano e nell’altra un bastone. Un giorno le chiede: “Vuoi giocare con me?” “Adesso non posso, devo lavorare; come ti chiami?” “Menho. Cosa ci fai con quel bastone e con quella borsa?” “Ci lavoro; vieni e te lo mostrerò”. Menho s’incammina dietro di lei. Gli occhi di Sheli sono come gli occhi di un falco. Sembra che lei con i suoi occhi spazzoli ogni angolo di strada. Alla sua vista non sfugge nessun oggetto. La più piccola cosa di valore viene raccolta e messa nella borsa.

Menho, a più riprese, le chiede: “Ma cosa ne farai di tutte queste cianfrusaglie?” “Vieni con me, Mengo, e capirai”. “Ahà! Il mio nome non è Mengo, ma Menho! Dài a me un manico della borsa, tu non ce la fai più!” Nel giro di una mezz’ora la borsa era diventata molto pesante. Si fermarono dinanzi ad un piccolo negozio. La barbetta del negoziante è bianca come la neve. La sua età si aggira intorno agli 80 anni. Egli si rovolge a Sheli con un bel sorriso: “Come sta, Sheli?” “Io sto bene, dadu (nonno), e tu?” “Allah mi ha conservato in vita, cosa vuoi di più?... Vedo che oggi hai molto materiale...; separa gli oggetti di plastica, nel frattempo io li peserò”. Il negoziante colloca tutto il materiale di plastica sulla bilancia e comincia a pesarlo; poi, ammucchiando il resto, scatolame, spugne, scarpe, si mette a sedere e fa i conti: “Sheli, oggi il tuo conto è di 7 take e 50 poysha (centesimi). Prendi i soldi o li segno sul quaderno?” “Segna 5 take; due take e mezzo dalle a Mengo, che mi ha aiutato. Oh, dimenticavo, dài una bella borsa a Mengo; ella, a cominciare da domani, porterà il materiale raccolto. Io le indicherò i posti dove raccoglierlo”.

Il giorno dopo Menho incominciò il lavoro dei tokai (ragazzi di strada). I suoi occhi si acuirono come quelli di Sheli. Per le strade scopre tutto velocemente: nessun oggetto le sfugge. Se c’è un qualcosa di valore, subito lo raccoglie e lo mette nella borsa. Quando la sua borsa è piena, si reca dal dadu. La sera, quando la madre torna dal lavoro, Menho apre un pezzo di stoffa e le mostra il contenuto. Ogni giorno porta a casa mezzo chilo di riso. La madre le sorride, l’accarezza e poi si mette a cucinare. Adesso loro due ogni sera possono mangiare a pancia piena. La madre poi la prende in braccio e le racconta tante cose: le parla della casa dello zio, della montagna e della foresta, dove i ragazzi vanno a caccia con le frecce e dove ella si incontrò col papà di Menho. Il papà di Menho era molto buono e voleva molto bene a Menho. Per questo motivo venne in città: guadagnerà dei soldi e poi darà Menho in sposa ad un rajputro (principe); così non la farà più soffrire... Mentre la mamma parla, le viene un nodo alla gola. Stringe forte Menho e le dice: “Tu sei il mio tesoro...; quando cammini per le strade, fai molta attenzione..., se ti accade qualcosa, io morirò”.

Menho, quando lavorava sulla strada, era molto guardinga. Prima di attraversare, si guardava attorno due o tre volte. Per il fatto che suo padre era morto in un incidentre stradale, lei aveva molta paura. Anche quel giorno, quando si recò a lavorare, camminava con molta attenzione. Davanti a lei un bamino di 5 o 6 anni camminava mano nella mano di sua mamma. Sua madre gli aveva regalato una palla e perciò trasaliva di gioia. Camminava e contemplava la palla che aveva girato e rigirato con garruli gridi di gioia. Improvvisamente la palla gli sfuggì dalle mani e andò a finire in mezzo alla strada. Il bambino non si guardò attorno; sotto l’impulso istintivo lasciò la mano della madre e si diresse di corsa verso la palla. Menho saltò in piedi gridando. Stava arrivando una macchina a grande velocità. Menho non ebbe tempo per pensare. Si mosse di corsa e spinse il bambino verso il marciapiede. Il bambino se la cavò bene, ma Menho andò a finire sotto la macchina con una gamba, che si ruppe come un bastoncino di iuta.

Quando Sheli andò a portare la notizia alla mamma di Menho, la mamma impallidì in volto; a lungo non riuscì a dire una parola. Recatasi all’ospedale vide Menho con la gamba incessata. Menho strinse la mamma in un forte abbraccio: “Ma (mamma), il dottore mi ha detto che per sei mesi non potrò lavorare... cosa ne sarà di noi?... però io non ho nessuna colpa, ma, io camminavo con molta attenzione, non così Manik”. “Manik... Chi è questo Manik?” “Manik è mio figlio, signora. Se tua figlia non si fosse precipitata in suo soccorso, egli sarebbe stato investito dalla macchina e sarebbe morto. Alla sua età da chi ha imparato a mettere a rischio la propria vita per salvare la vita di un bambino che non conosce?” “... Non lo so, didi (sorella)..., però sì, suo padre guidava il rickshaw. Un giorno una signora col figlio salì sul rickshaw. Improvvisamente una ruota si bloccò sulla strada. Stava arrivando un camion a grande velocità. Suo padre scese immediatamente, afferrò la ruota, rovesciò il rickshaw sul marciapiede e li mise in salvo..., ma non poté salvare se stesso... Egli non ha potuto lasciar niente a sua figlia. Può darsi allora che l’attitudine di suo padre fluisce nelle sue vene”.

Il giorno successivo, quando Sheli con la sua borsa si recò dal dadu, il dadu stava ascoltando la radio. Alla radio stava parlando il primo cittadino di Chittagong: “Fratelli tutti, due anni fa, per salvare la vita di due persone sconosciute, il papà di Menho ci rimise la propria vita. Noi non possiamo dimenticare il suo nome. Quando però Menho, la sua figlioletta di otto anni, andata in soccorso di un bambino, è rimasta infortunata, noi non possiamo non gloriarci di lei. Quel jati (significa popolo, razza e qui ha una chiaro riferimento alla tribù di Menho) che dà i natali a questo tipo di ragazze, quel jati può andarne orgoglioso. Da parte mia, lo giuro, io la guarderò e la proteggerò da ogni pericolo come fosse mia figlia. Allah mi è testimone!”

di p. Antonio Germano Das, sx.

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