SHEMOLI

Visite: 468

Favola bengalese che vuol far riflettere

di p. Antonio Germano Das, sx.

11 settembre 2017

Back 

BREVE PREMESSA. Una piccola storia, piena di pathos, da cui affiora il mistero del dolore e della morte. Su tutto aleggia il sorriso contagioso di Shemoli, una fanciulla di solo otto anni, affetta da leucemia. Straordinaria poi la figura della donna, senza nome, che si racconta in prima persona. Ha perso il marito tragicamente ed è rimasta vedova con due figli. Per portare avanti l’eredità lasciatale dal marito deve industriarsi e inventarsi dei lavori. L’incontro con la piccola Shemoli le fa ritrovare il sorriso e quindi la gioia di vivere: è l’eredità che Shemoli le lascia morendo. Un afflato lirico, difficile da rendere in italiano, pervade tutto il racconto. A rendere più straordinaria l’atmosfera c’è il canto degli shalik, che, disegnando le loro evoluzioni nel cielo, diventano sorgente di gioia per Shemoli. Shalik è un uccello simpatico e si trova dappertutto in Bangladesh. Si posa sulle verande delle capanne, gironzola e, se ti vede, non vola via; sembra che abbia voglia di parlare con te. Ricorrono nel racconto termini bengalesi già incontrati nei precedenti racconti: la vedova del racconto diventa la khalamma (=zia) per Shemoli, che, a sua volta, diventa la piccola ma (=mamma) per la khalamma. C’è poi il dadu(=nonno) ed il mama (=lo zio materno).

Il fiume Modhumoti scorre tranquillo zig-zagando, ma, quando la sua velocità aumenta, allora la sponda s’infrange e cade. La sponda del fiume in quel punto diventa così scoscesa che nessuno riesce a scendere o ad arrampicarvisi. Ma gli shalik del fiume trovano lì il luogo ideale per nidificare. In alcune zone essi fanno centinaia di nidi. Al mattino e nel pomeriggio, cinquettando e volando in stormi, essi disegnano nel cielo le loro evoluzioni. Al vederli la mente prova sollievo. Proprio qui a fianco si trova il nostro Hatkhola(=il luogo del mercato) e poco lontano da Hatkhola c’è l’attracco delle barche. Attraversato il fiume, sull’altra riva c’è il nostro piccolo villaggio. Due giorni alla settimana, attraversato il fiume, io mi reco al mercato.

Mio marito lavorava in città come professoe al college. Ci siamo sposati 12 anni fa subito dopo la mia promozione agli esami di I.A. Conducevamo una vita felice. Un giorno mio marito stava tornando da Dhaka, quando il bus si capovolse e lui perse la vita. Coi miei due figli lasciai la città e tornai a casa da mio padre. Per il sostentamento coltivo anatre e galline; due volte la settimana vado al mercato a vendere le uova; faccio la spesa e torno a casa.

Tre mesi or sono, salita sulla barca traghetto, vedo lì seduta una fanciulla. Avrà otto anni; veste la divisa azzurra della scuola, ma in mano non ha né libri né quaderni e non c’è nessuno con lei. Le chiedo: “Come ti chiami?” “Mi chiamo Shemoli”. “Non ti ho mai vista qui, ma; di dove sei?” “Io sono di Jessore; al di là del fiume abita il mio mama”. “Tu sorridi in una maniera stupenda!” “Anche tu sorridi meravigliosamente, khalamma”. “Piovano sulla tua bocca petali di fiori! Da tanto tempo nessuno più mi aveva detto una parola simile!” “Perché? Non hai tu uno specchio? Rimirandoti allo specchio, potrai capire”. “Lo specchio a me non serve più, ma; però dal momento che lo dici tu, ti credo. Dove andrai adesso?” “Non vado da nessuna parte. Vado e vengo; di nuovo vado e vengo... Il barcaiolo è il mio dadu; egli non prende soldi da me”. “Vai e vieni perché?” “Io guardo in faccia la gente: se qualcuno ha il volto triste, allora io sorrido ed anche lui sorride”. “Oh! Per questo hai sorriso, quando mi hai guardato?” “No, khalamma, io ho sorriso quando ho visto il tuo paniere”. “Perché? Che motivo c’è per sorridere?” “Tra me e me pensavo: anch’io un giorno andrò a vendere le uova..., con i soldi delle uova mi comprerò una barca; poi, spingendo con i remi la barca, andrò a vedere i nidi degli shalik del fiume. Mi fermerò lì tutto il giorno. Essi cinquettano e disegnano giravolte nel cielo. Tutto il giorno io guarderò i loro giochi e sentirò il loro canto”.

Il successivo giorno di mercato, quando salii sulla barca, cercai il suo volto sorridente. D’allora in poi era diventata per me un’abitudine incontrarmi con lei ed il giorno che non la vedevo mi piangeva il cuore. Con la paglia e le foglie della palma da datteri ho imparato a produrre vari oggetti. Un giorno avevo intrecciato un piccolo tegame per Shemoli insieme ad una padella e quattro piatti. Shemoli rimase molto contenta. La volta successiva lei mi portò un quadretto disegnato da lei. Disse: “Prendilo, khalamma, l’ho disegnato per te. Ecco, vedi? Io conduco la barca, tu sei seduta al centro e questo è il paniere delle uova; poi ci rechiamo a vedere i nidi degli shalik del fiume. Staremo lì tutto il giorno... solo a sentire il loro canto e a guardare i loro giochi. Non c’è bisogno di fare alcun lavoro... e non è neppure necessario cucinare... Lo sai, khalamma? A mia madre son piaciuti molto il tegame, la padella e i piatti che mi hai regalato. Ma, quando sono andata a giocare con essi, ella mi ha detto: Lascia andare, Shemoli, non è necessario che tu impari a cucinare; finché tu vivrai, cucinerò io per te, ma...”.

Quel giorno io non potetti capire le parole di Shemoli. Passarono altre due settimane. Un giorno, salita sulla barca, notai che Shemoli non c’era. Chiesi al barcaiolo: “Dadu, dov’è Shemoli?” Il dadu, asciugandosi gli occhi col dorso della mano, rispose: “Shemoli non c’è più, ma, ... è morta oggi a mezzogiorno!” “Vuoi dire... Shemoli... è morta?” “Tre mesi fa era venuta a casa del mama, perché ammalata di leucemia. A detta dei medici, sarebbe dovuta morire molto prima. E’ vissuta tre mesi in più a motivo del suo sorriso”. “Quanto è lontana la casa?” “Vieni, ti accompagno!”

Vestita della divisa azzurra della scuola, Shemoli era stata adagiata nella veranda. Vedendo nacora risplendere il sorriso sul suo volto, io non riuscii a trattenermi. Dagli occhi cominciarono a scendermi le lacrime. La madre di Shemoli, vedendo il mio paniere, capì subito chi ero. Entrata in casa mi portò un foglio: “Bubu(=sorella), Shemoli mi ha lasciato detto: consegna questo disegno a khalamma”. Shemoli aveva disegnato un uccello. Sotto c’era scritto: Uno shalik per la tua felicità! Abbracciata a sua mamma, piansi a lungo. Poi mi posi a sedere di fronte al volto sorridente di Shemoli, per manifestarle quello che attraversava la mia anima: “Shemoli, se avessi saputo che quel giorno era l’ultima volta che parlavo con te, allora mi sarei fermata tutto il giorno a contemplare il tuo volto. E, se avessi saputo che quella era l’ultima volta che tu mi guardavi, avrei tenuto nascosto il mio pianto. Per renderti felice avrei continuato a sorridere. Se avessi saputo che quei tre giorni erano gli ultimi giorni della tua vita, viva o morta, avrei comprato una barca, te l’avrei donata, sarei andata con te dove gli shalik del fiume fanno i loro nidi e sarei rimasta con te tre giorni... Se avessi saputo che per l’ultima volta mi salivi in grembo, ti avrei trattenuta per tre giorni, non ti avrei fatto scendere; mille volte ti avrei detto all’orecchio: “Quanto ti voglio bene, mia ma, dal volto sorridente!”

di p. Antonio Germano Das, sx.

Back