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DA JESSORE A DILLI

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Favola bengalese che vuol far riflettere

di p. Antonio Germano Das, sx.

20 luglio 2017

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BREVE PREMESSA. Il racconto mi ha fatto venire in mente un famoso classico della letteratura italiana, che si trova nel libro Cuore di Edmondo De Amicis e si intitola: Dagli Appennini alle Ande. Una volta si leggeva, non ricordo bene se alle elementari o alle medie. Probabilmente oggi il libro e quindi il racconto è caduto in disuso, ma Marco e Hossain, protagonisti l’uno del racconto italiano e l’altro di quello bengalese, sono di grande attualità. Essi sono due migranti alla ricerca della propria mamma espatriata per ragioni di lavoro e tutti e due perciò sono un invito a riflettere sul fenomeno “Migranti”, oggi tanto dibattuto, con visioni avvolte distorte e dimentiche che la vicenda di Marco alla ricerca della mamma da Genova alle Americhe e di Hossain da Jessore a Dilli, dovrebbero richiamare alla mente e al cuore la vicenda di tanti ragazzi e ragazze che oggi si trovano nella medesima tragica situazione. Da parte mia, inviterei chi legge questo racconto tradotto dal bengalese a rileggersi, come ho fatto anch’io, “Dagli Appennini alle Ande”. Quando lo lessi la prima volta, non mi impressionò più di tanto, perché vedevo tanti ragazzi della mia età partire per le lontane Americhe. Ricordo che a Duronia, mio paese natale, in V elementare eravamo in 40. Di quei 40 al paese non ne rimase neppure uno!

Ed ora qualche accenno ai nomi che si incontrano nel racconto. Jessore: è capoluogo di distretto in Bangladesh con stazione ferroviaria e aeroporto. Per noi Missionari Saveriani il nome dice tanto, perché, approdati qui, i primi missionari diedero vita al Fatima Hospital e al National Social Catechetical Training Centre. Dilli: è New Delhi, la gloriosa capitale dell’India, chiamata in bengalese Bharot. C’è un proverbio, sempre in lingua bengalese, che dice: Dilli bohudur!e cioè: Dilli è molto lontana. Il proverbio ha un significato allegorico. Quando nella vita ci si propone un determinato obiettivo e si mettono in atto tutti i tentativi per raggiungerlo, ma, alla fine l’obiettivo rimane ancora molto lontano, allora per consolarsi si dice: Dilli bohudur! Tante volte è capitato anche a noi missionari che lavoriamo tra i fuoricasta. Quando, dopo aver messo in atto tanti sforzi ed iniziative, vediamo che nulla si muove, per consolarci e non mollare diciamo: Dilli bohudur! Benapole: è un posto di blocco ai confini con l’India e dista 40 km da Jessore. Haora: città industriale sul fiume Hoogli. E’ una città gemella di Calcutta, a cui è collegata con 4 ponti, dei quali uno è dedicato a RobindronathTagore ed un altro a Vivekananda. 

 

“Zio, sono ormai tre mesi che da mamma non riceviamo più una lettera. Io vado e torno con sue notizie”. “Devi essere diventato pazzo! Sai dove si trova Dilli? E poi tu sei ancora un ragazzo!” “Ho più di 11 anni e mio padre, sul punto di morire, mi disse di prendermi cura di mia madre. Inoltre, per quanti giorni ancora tu mi darai da mangiare?” “Non occorre che tu ti preoccupi di questo”. Ma, il mattino del giorno dopo, sul letto di Hossain lo zio trovò un foglio, su cui c’era scritto: “Zio, perdonami, ma io devo andare. Tuo Hossain”. L’autista del pulman, al sentire Hossain, scoppiò a ridere: “Dilli! Ma lo sai dove si trova Dilli? Esattamente nel cuore di Bharot!” “Ma io devo andarci!” “Non hai il passaporto, a Benapole non ti faranno passare… Va bene. Quando scenderai dal pulman, verrai con me e vedremo cosa si può fare”. L’autista lo portò in un piccolo ristorante e disse al proprietario: “Abdul, bisogna fare in modo che questo ragazzo salga sul treno che va a Calcutta. Egli è in cerca di sua madre e non ha con sé neppure un centesimo”.

Insieme a chi, con quale pulman, seduto su quale riksaw, camminando su quale strada raggiungerà la stazione di Haora, egli non lo sa. Abdul disse: “Questo treno andrà direttamente a Dilli e arriverà dopo domani. Oh! Prendi queste 20 take, me le restituirai al tuo ritorno”. Hossain salì sul treno. Seduto in un angolo, prima sonnecchiò e alla fine si addormentò. Si svegliò che era mezzogiorno. Il treno viaggiava a grande velocità. Avvertì gli stimoli della fame. Seduti davanti a lui due gentili signori parlavano in bengalese. “Chacha(pronuncia: ciacia=zio per i musulmani), sa dirmi dove posso trovare il muri(=riso abbrustolito)? “Abbi pazienza. Fra poco il treno si fermerà. Tu dove scenderai?” “Mia madre lavora a Dilli” “Dilli è molto lontana! Non c’è nessuno con te? Bene, dammi i soldi e ti procurerò il muri”. Il signore tornò con un grande cono di carta pieno di muri al gur(=melassa). Disse: “Toh, prendi. Hai altre take con te?” “Cioè? ... Al momento di partire, ho dimenticato di portare con me i soldi”. L’uomo, guardando in faccia a Hossain, capì tutto e disse: “Va bene, ragazzo mio. Toh, prendi il resto. Ti auguro di crescere da uomo dabbene!” Ciò detto, egli scese dal treno. Hossain contò i soldi e si rese conto che erano 20 take. Il signore non aveva preso i soldi del muri. Tra sé e sé Hossain pensò: “Tra i bengalesi c’è brava gente! … Ma io adesso come farò a ricambiare?”

Il giorno dopo egli raggiunse Dilli. Con l’indirizzo della mamma alla mano, si mescolò con la folla. Ma nessuno capiva il suo linguaggio e se rispondevano in hindi, Hossain, da parte sua, non capiva. Aveva fermato tanta gente mostrando loro l’indirizzo. Tutti andavano di fretta e nessuno gli prestava attenzione. Scese la sera. Questa volta Hossain cominciò ad aver paura. Pensò: Torno a casa! Con questo proposito nella mente andò in stazione.Stava cercando il treno per Haora, quando improvvisamente gli vennero in mente le parole del padre: “Hossain, io sto morendo, tocca a te prenderti cura di tua madre. …”Hossain non salì sul treno. Di nuovo cominciò a fermare la gente e a mostrare loro l’indirizzo… D’improvviso un signore scese dal treno. Aveva in mano tre bagagli e faceva fatica a portarli. Hossain gli si avvicinò e disse: “Li dia a me, me ne dia due”. Quel signore, dopo avergli caricato i bagagli sulla testa, gli chiese: “Sei bengalese?” Sulla bocca di Hossain sbocciò il sorriso e rispose: “Sì, abito a Jessore”. Usciti di stazione, il signore gli stava dando 5 take, ma lui disse: “No, io non prendo i soldi!” Poi, improvvisamente, lo spavento di un’altra intera giornata e la disperazione lo assalirono. Si aggrappò a quell’uomo e, scoppiando a piangere, gli mostrò l’indirizzo di sua madre. Il signore disse: “Il posto è molto lontano; oggi non potrai arrivarci. Vieni, questa notte rimarrai a casa mia e domani mattina ti condurrò al pulman”.

Hossain si sentì rivivere. Ancora una volta dentro di sé pensò: i bengalesi hanno un cuore! Al mattino, dopo un’ora di pulman ed un’ora di affannosa ricerca, arrivò alla casa di un gentile signore, presso il quale sua madre da due anni prestava servizio. “Dov’è mia madre? Io sono Hossain e vengo da Jessore”. “Vieni dentro e siediti. Tua madre è ammalata e l’ho fatta ricoverare in ospedale. Riposati un po’!” “No, khalamma(=zio per i musulmani), io non mi riposerò, ma andrò subito da mia madre”. Nel frattempo il medico cercava di convincere la madre: “Se dentro domani non ti operi, poi sarà troppo tardi e nessun chirurgo avrà il coraggio di operarti”. Gli occhi dell’ammalata non si aprirono e l’attitudine di stanchezza ed abbandono non cambiò. Improvvisamente da fuori una voce risuonò nell’aria: “Dov’è mia madre?” Gli occhi della donna si aprirono immediatamente; sollevatasi sui gomiti, si pose a sedere. Hossain le saltò in grembo e disse: “Mamma, non aver paura! Ecco sono arrivato io!” Il giorno dopo, terminata l’operazione, rivolto a Hossain il chirurgo disse: “Tua madre è salva, ragazzo! Tuttavia, sì, bisogna dirlo, non siamo stati noi a salvarla, ma la tua venuta”.

di p. Antonio Germano Das, sx.

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