Consumo di suolo e anche consumo di paesaggio

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Una valenza paesaggistica importante è quella agricola. Da ciò ne deriva che la riduzione delle superfici coltivate provoca l’impoverimento del paesaggio

di Francesco Manfredi Selvaffi (da ilbenecomune.it)

20 giugno 2017

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Alcune misure di politica territoriale sono mirate alla salvaguardia dell’agricoltura, anche se ancora non diventa legge la proposta dell’ex ministro Catania, membro del Governo Monti, di limitare il «consumo di suolo». Quando diventerà una disposizione legislativa i piani urbanistici dovranno tener conto della qualità dei terreni in termini agronomici escludendo nella scelta delle Zone di Espansione dell’abitato quelli che presentano requisiti di una maggiore produttività. In verità, nel Molise il problema sembra essere quello dell’abbandono dei campi piuttosto che quello della sottrazione di suolo per l’incremento dell’edificato e, ciò nonostante, si ritiene che sia utile pure qui da noi il varo di questo provvedimento per salvare quello che resta della «campagna campobassana» famosa in passato per i suoi prodotti o i celebri orti di Venafro appetibili ai fini edificatori perché superfici pianeggianti prossime alla città.

Sempre di pianificazione del territorio si parla mentre si affronta il tema della protezione del paesaggio. I nuovi piani paesistici che la Regione si sta accingendo a predisporre, redatto in base al Codice Urbani il quale, a sua volta, deriva dalla Convenzione Europea del Paesaggio, dovranno dedicare una specifica attenzione al contesto agricolo. Ancora di territorio si tratta quando si entra nel settore della difesa della natura in quanto i piani dei parchi (siamo in attesa di quello del Matese) hanno in considerazione la questione dell’agricoltura, specie se condotta con metodi tradizionali, risultando essa una componente dell’ecosistema. I contadini stessi si stanno rendendo conto dell’importanza dell’essere inclusi in un’Area Protetta costituendo ciò una sorta di marchio di garanzia per le loro produzioni.

Sul versante naturalistico è una realtà concreta, al contrario dei parchi, la Rete ecologica rientrante nel programma europeo Natura 2000 nella quale giocano un ruolo essenziale le aree dove si praticano coltivazioni non intensive le quali costituiscono gli elementi di connessione di tale rete i cui poli sono i Siti di Importanza Comunitaria (circa 90 nella nostra Regione). Più in generale, per chi come noi vive, in conseguenza della bassissima densità insediativa, a stretto contatto con l’ambiente naturale, ben conservato o meno, è opportuno recuperare quel rapporto che nella società contemporanea si è andato perdendo, il quale è pure di tipo culturale, con la naturalità; si pensi a Pescopennataro o a Capracotta collocati in luoghi nei quali prevale nettamente la componente naturale rispetto a quella antropica (tanto da spingere a proporre negli anni ’80 del secolo scorso la nascita del Parco dell’Alto Molise), paesi la cui popolazione ha saputo istituire un originale rapporto con l’ecosistema che li circonda, anche nella sfera del fabbisogno alimentare dunque, dell’agricoltura e della zootecnia.

Adesso ci soffermiamo sul punto, appena accennato prima, della relazione tra attività agricola e caratteri percettivi degli spazi extraurbani partendo dalle dimore rurali le quali, denominate «case-utensili», sono funzionali alle pratiche colturali, una sorta di attrezzi agricoli. Se è vero che il paesaggio è stato costruito dai coltivatori, dall’impegno secolare delle persone per la sistemazione dei terreni con la regimazione delle acque, la predisposizione dei terrazzamenti, la piantumazione degli alberi da frutto e delle vigne e così via, allora è l’uomo l’attore principale nella configurazione dell’aspetto paesaggistico e la sua abitazione ne è la testimonianza più evidente. Si stabilisce una simbiosi tra il paesaggio e residenze sparse. Sono le case dei piccoli proprietari terrieri, disperse nel territorio rurale a seguire la spinta frantumazione fondiaria, il fulcro di tanti scorci panoramici.

Vi sono, però, comprensori dove al posto della minuscola «masseria» e più di questa a condizionare la visione vi sono grandi fabbricati isolati, retaggio dell’epoca dell’economia mezzadrile. Ve ne sono di particolarmente belli (come quelli di S. Massimo) oggetto di una ricerca condotta nel 1978 dalla Soprintendenza ai Beni Culturali che ha portato al rilevamento grafico e fotografico di tantissimi manufatti. Quelli maggiormente interessanti hanno la tipologia a corte che è uno schema originale il quale non ha niente da vedere con altre costruzioni civili e l’unico riferimento architettonico sono sebbene alla lontana le ville palladiane formate anch’esse da più corpi; non c’è di certo, non solo poiché con cortile chiuso e non aperto alcun parallelo tra questi e l’hotel francese con la sua cour d’honneur il quale si contrappone anche per la sua ubicazione a volte nell’agro al palazzo italiano che è a blocco compatto che sta sempre in un centro.

C’è un altro modello affermatosi in periodo più tardo di quello degli impianti a corte, ed è quello della villa (riconoscibile per il pino marittimo al suo fianco), anch’essa non semplicemente “luogo di delizie” (Venafro, Macchiagodena, Macchia d’Isernia, ecc.). in ogni caso è l’abitazione colonica, più della villa o del «casino», l’emblema del paesaggio molisano, rappresentativa per la sua grande diffusione e per la ripetitività, seppure con varianti, della sua architettura dei modi attraverso i quali esso è stato «costruito». La dimora rurale con il suo intorno paesaggistico viene ad essere qualcosa di simile ad un tassello, replicato identico a se stesso, del mosaico paesaggistico, per così dire un modulo base, una cellula elementare.

Il Touring Club Italiano con il quale prende avvio, per merito dei suoi volumi fotografici, un turismo sensibile agli angoli meno conosciuti del Paese, ai paesaggi minori ci porta a scoprire anche le architetture popolari e trasforma in iconema l’immagine della casa sul poggio. In verità, ciò ha inizio con la pittura di paesaggi di età romantica. Il rischio è quello del guardare tali edifici in chiave sentimentale, fatto che fa perdere l’attenzione per il significato storico che sta loro dietro, facendo degenerare l’iconema in stereotipo per non dire luogo comune. L’operazione nostalgia incombe pure sull’agriturismo, una maniera per rivitalizzare questi fabbricati, che, nato in sordina (i primi esemplari sono al bivio di Staffoli e alla taverna posta presso la stazione di Sepino sono dell’ultimo scorcio del XX secolo), si è andato estendendo contribuendo a far avvicinare i cittadini all’agricoltura che anch’essa ha una dimensione temporale che non va banalizzata.

di Francesco Manfredi Selvaffi (da ilbenecomune.it)

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