ALZI LA MANO CHI NON E’ LADRO

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Favola bengalese che vuol far riflettere

di p. Antonio Germano Das, sx.

19 giugno 2017

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BREVE PREMESSA. Una favola di grande attualità e non soltanto qui in Bangladesh. La corruzione, la frode, l’inganno, la bustarella (in inglese: bribes; ghushin bengalese) sono una piaga che affligge quasi ogni società in Oriente come in Occidente, al Nord e al Sud del mondo. Leggendo e traducendo questa favola, per associazione, mi veniva in mente l’episodio dell’adultera trascinata dinanzi a Gesù per il giudizio: “Chi di voi è senza peccato, scagli per primo la pietra contro di lei” (Gv. 8,7).

Il ladro della favola è in possesso di una formula magica, che si rivelerà quanto mai efficace per lui. Formula magica in lingua bengalese si dice montro, che diventa mantra in lingua hindi. In Bangladesh ci sono anche altri trucchi per scoprire il ladro. Uno di essi è la prova del pane, rutirporiccha. Si chiamano i sospetti di ladrocinio e chi non riesce ad inghiottire un boccone di pane, è lui il ladro. Questo dell’esame del pane mi ricorda un episodio molto increscioso della mia vita missionaria. Siamo a Borodol nel 1984. In mia assenza c’era stato un piccolo furto alla missione. Per scoprire il ladro si era proceduto al rutirporiccha. Indagati erano i maestri della scuola e tutti quelli che lavoravano alla missione. Nel frattempo uno dei maestri, che poi risulterà colpevole, aveva fatto pressione sui ragazzi della scuola perché saltasse fuori il ladro. Quando però venne a sapere che il giorno dopo ci sarebbe stata la prova del pane, per la vergogna e la paura di perdere la faccia, la notte stessa prese il veleno e morì, il mio povero Ojit. Se quel giorno fossi stato presente, non avrei mai permesso una procedura simile. Nella favola si parla di un frutto, la peara(in inglese: guava), di varie proporzioni ed anche di vario sapore; cresce e matura durante la stagione delle piogge. Non so il perché, ma ne vanno ghiotte soprattutto le donne.

Bisogna andare dietro nel tempo. Un giorno un ladro fu scoperto mentre rubava quattro pezzi di pane dalla cucina del palazzo regale. Secondo le leggi del regno egli fu giudicato e condannato alla forca. Il re gli chiese: “Prima di morire, se hai qualcosa da dire, puoi dirla”. Il ladro, dopo averci pensato un po’ rispose: “Moharaj(grande re), io da mio padre ho appreso un montro. Attraverso di esso il regno può trarne un gran vantaggio. Io, purtroppo, non l’ho adoperato, perché a me non è di nessun guadagno. Io sono in possesso di alcuni semi di fiore. Bisogna seminarli sul terreno davanti ad una tomba. Se lei domani convoca tutti gli impiegati presso la tomba di suo padre, io, prima di morire, potrò insegnare loro l’uso del seme”.

Il giorno dopo tutti i servitori da ogni parte del regno si presentarono dinanzi alla tomba del padre del re. Il ladro consegnò nelle mani di ciascuno un seme. Poi disse: “Nel giro di una settimana la piantina darà il fiore. Quelli che nella loro vita non hanno mai rubato sopravvivranno e quelli che hanno rubato, non appena il fiore germoglia, moriranno”. Il re ordinò al suo montri (ministro) di porre giù il seme. Il montri disse: “Moharaj, no, io non posso! Da ragazzo io ho rubato le pearaal mio vicino di casa”. Il re quindi si rivolse al cuoco dicendogli di porre giù il seme. Il cuoco congiungendo le mani in segno di supplica disse: “Voglia perdonarmi, moharaj! Io quando vado al bazar a fare la spesa, aggiungo qualche cifra al resoconto”. Questa volta il re disse alla regina: “Allora, metti tu giù il seme!” La regina, prostrandosi ai piedi del re disse: “Moharaj, io ho sfilato dalla sua tasca i soldi per comprarmi gli orecchini di diamante”.

Alla fine il re, su tutte le furie, disse: “In mezzo a tutti voi non si trova proprio nessuno che in vita sua non abbia rubato? Su, venite avanti e ponete giù il seme! Di che cosa avete paura?” Passò un minuto; due minuti trascorsero e nessuno si mosse. Allora il montri intervenne dicendo: “Moharaj, faccia così, metta giù lei stesso il seme”. Il re lentamente prese in mano il seme, lo girò e rigirò. Alla fine riconsegnò il seme nelle mani del ladro dicendo: “Quando ti ho giudicato e ti ho condannato, mi sono sbagliato. In realtà qui siamo tutti ladri. La grande differenza è questa: tu hai rubato in casa del re e noi abbiamo rubato ai poveri! La nostra colpa è assai più grande della tua. D’ora in poi tu farai il cuoco nella casa del re in maniera che, in mancanza di cibo, tu non abbia a rubare”.

di p. Antonio Germano Das, sx.

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