JAMINI E KAMINI

Visite: 540

Favola bengalese che vuol far riflettere

di p. Antonio Germano Das, sx.

12 giugno 2017

Back 

BREVE PREMESSA. Una fiaba con finale boccaccesco, ma che racchiude un gran messaggio. Mi fa venire in mente il messaggio paolino della seconda lettera ai Corinzi, che amo citare in latino: “Hilaremenimdatoremdiligit Deus” e cioè: “Dio ama chi dona con gioia” (2Cor.9,7). Il titolo bengalese della favola è un po’ diverso: “L’avara Kamini”. Io ho preferito mettere come titolo i nomi delle due vedove protagoniste: Jamini (pron.: Giamini) e Kamini. Tutti e due questi nomi nella lingua bengalese racchiudono un significato. Jamini è un termine giudiziario e significa “cauzione”. E’ il prezzo di riscatto per chi è finito in prigione prima di essere giudicato. E’ capitato anche a me, nella mia lunga storia missionaria, di dover pagare il jaminiper alcuni cristiani che erano finiti in carcere senza colpa.Kaminiinvece significa “cespuglio in fiore” e la persona, che in questo caso lo porta come nome, sembra esserne la contraddizione. Ricorrono poi termini già apparsi in altre favole, come khalamma, che è la zia materna per i musulmani; bubu, termine affettuoso rivolto alla sorella maggiore; ma (=mamma), titolo affettuoso con cui ci si rivolge alla sorella minore. Compare per la prima volta Bhogoban, che è il nome di Dio per gli hindu, ma anche per i cristiani.

La favola si svolge in ambiente tipicamente bengalese e fa riferimento a usi e costumi, soprattutto per quel che riguarda il cibo. Si parla, per esempio, dell’ilish mach, che è il pesce nazionale del Bangladesh, molto gustoso e perciò anche molto costoso. Si fa accenno al pan (in inglese: betel leaf), che è una foglia arrotolata, dentro cui ci sono pezzetti di areca nut (non so se sia la noce moscata), calce, qualche volta tabacco o sostanze stupefacenti. In Bangladesh, soprattutto a livello di villaggio, tutti masticano il pan. Dicono sia digestivo. Molti però lo fanno per ingannare l’appetito.

***

Sulla luna viveva una fata. Aveva pochi anni e non era ancora entrata nella piena maturità della sapienza e della conoscenza. Si chiedeva come mai Bhogobanpremia gli uomini e dona loro la pace solo dopo la morte. Secondo lei, premiandoli vita natural durante, essi sarebbero diventati più buoni. Ma… chi sono poi gli uomini buoni? La fatina non sapeva darsi una risposta. Tra le fate ce n’era una che aveva 200 anni. Si rivolse a lei e le chiese: “Bubu,chi sono gli uomini buoni?” Ella rispose: “Perché? Coloro sulla cui bocca c’è il sorriso essi sono buoni e diffondono gioia intorno a sé”.

La fatina, assunte le sembianze di una vecchia gibbosa, appoggiandosi ad un bastone, cominciò a girare di villaggio in villaggio. Giunta ad un villaggio, notò le capanne di due vedove: Jamini e Kamini. Esse sbarcano il lunario tessendo stoffa. Sul volto di Jamini c’è il sorriso. Di tanto in tanto le vicine di casa vengono e se la raccontano, masticano il pan, dicono storielle, scherzano e ridono allegramente. Dall’altra parte della strada c’è Kamini, che, udendo tutto quel frastuono, si arrabbia e dice fra sé e sé: “le vicine di casa, che non lavorano, mi daranno forse da mangiare?” Non dà retta a nessuno. Al momento del pranzo, con la mano destra porta il riso alla bocca e con la sinistra manda avanti il telaio.

Quel giorno, verso sera, vedendo la vecchia venire verso il cortile di casa sua, avviò ancora più velocemente il telaio e disse: “Non qui, vecchia, io sto lavorando. Se vuoi sentire raccontare storie, vai nella casa di fronte”. Così la vecchia si recò nella casa di Jamini. Disse: “Ma, sono molto stanca; posso sedermi un po’?” “Siedi, khalamma, vado a prenderti il pan… Ecco, prendi! Khalamma, si è fatta notte, stai qui e domani andrai via. Stanotte mangerai quello che ho”. La vecchia disse: “Bene, allora fammi cucinare al tuo posto”. Le due, dopo aver cenato, se la raccontarono e alla fine si addormentarono. Al mattino, sul punto di partire, la vecchia disse: “Per favore, ma, il lavoro che comincerai questa mattina, fa’ in modo che vada avanti velocemente durante tutta la giornata”.

Jamini quel giorno si era seduta per preparare un tessuto bello e delicato. Nel giro di 5 minuti era finito, ma continuavano a venir fuori i pezzi: due, tre, quattro, dieci… ventuno, ventidue, ventitré! Allora chiamò: “Kaminibubu, vieni a veder il miracolo della vecchia!” Kamini disse: “Se la vecchia torna, dille di venire da me”. Il giorno dopo venne da lei. Kamini le disse: “Venga, khalamma, ho cucinato l’ilish mach, faccia sosta da me e poi riparta”. Kamini sorrise ma il suo sorriso era forzato. In che modo si sorride, ella lo aveva dimenticato. Diede da mangiare alla vecchia e la fece coricare su un morbido letto.

Al mattino la vecchia le disse: “Per favore, ma, fa’ in modo che il lavoro con cui inizi la giornata, vada avanti senza interruzione durante tutto il giorno”. Kamini, però, prima di mettersi al lavoro, si recò al bagno (mettete voi la parola giusta!). Così, secondo quello che aveva detto la vecchia, non smise di andare e venire dal bagno ininterrottamente!

di p. Antonio Germano Das, sx.

Back