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IL FALCO E I PICCIONI

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Favola bengalese che vuol far riflettere

di p. Antonio Germano Das, sx.

15 maggio 2017

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BREVE PREMESSA. Chiamerei questa novella la parabola dei piccioni. Penso che l’autore, che ha trascorso gran parte della sua vita tra gli ultimi, tenendo presente la loro situazione, li identificasse con i piccioni della favola, sempre in balia del più forte e prepotente. La vera debolezza dei Dalit (nome generico per indicare i fuoricasta) è la mancanza di unità fra di loro, che scaturisce ovviamente dalla mancanza di fiducia in sé stessi. Quando succede una lite o qualche screzio fra di loro, invece di sedersi insieme e risolvere il problema, spesso ricorrono a musulmani potenti o a hindu d’altra casta, continuando così quella tradizione di proja(parola bengalese molto forte che sottolinea la dipendenza e quindi la schiavitù), sempre in balia dei soprusi. Attraverso il nostro programma educativo cerchiamo d’inculcare l’idea che la via dell’unità per loro è la via della liberazione da questa secolare schiavitù. Nella favola ricorre ancora il termine pukur (=laghetto), che è una parte integrante della vita di villaggio. Per scendere nel pukur c’è il ghat e cioè uno spiazzo di cemento con gradinata che scende fino al fondo del pukur.Ricorre anche qui l’appellativo bhai(=fratello), che il modo con cui i bengalesi intavolano il discorso fra di loro.

Ci troviamo nella fattoria di un ricco agricoltore bene assortita. Ai quattro lati di un grande pukur ci sono lunghi filari di alberi maestosi. Nella fattoria ci sono galline ed oche. Per i piccioni c’è un lungo filare di piccionaie in legno. Le gabbie sono belle grandi e però lo spazio fra le sbarre è stretto per impedire a falchi e civette di entrare. C’era una volta una coppia di piccioni dal colore candido come la neve, di razza aristocratica diciamo. Parlavano un bengalese pulito ed anche le parolacce e i titoli che davano erano di un linguaggio forbito. Ovviamente non si mescolavano con i piccioni plebei. Quel giorno si svegliarono di malumore. Uno di loro diceva: “Siamo proprio scarognati! L’anno scorso eravamo soli e la moglie del contadino riempiva il nostro piatto di grani di riso… Dopo che sono arrivati quei nuovi piccioni neri, il nostro piatto è mezzo vuoto e ci tocca andare lontano per procurarci il cibo”.

“E’ proprio così!” Ribatteva l’altro, “Hai visto quel falco? Tutto il santo giorno appollaiato sul ramo dell’albero fa finta di dormire. Ehi! Falco bhai, ascolta un po’!” “Cosa c’è che non va, bhai? Perché mi hai svegliato?” “Falco bhai, che guadagno hai a dormire appollaiato sul ramo dell’albero? Noi non siamo così stupidi da lasciarci beccare da te! Piuttosto, invece di stare lì a perdere tempo, facci un favore ed anche tu ne trarrai vantaggio.” “Io sono appunto appollaiato qui per farvi dei favori. Proprio non capisco perché voi abbiate tanti dubbi nei miei confronti.” “Allora ascolta: quei piccioni neri, che si sono impadroniti del territorio, sono sporchi, brutti e incivili. Sono la vergogna della nostra zona. Cosa ne pensi?” “E’ proprio necessario dirlo? Ditemi piuttosto cosa debbo fare.” “Vedi il ghatdel pukur? Beh, all’alba, prima dello spuntar del sole, quei piccioni neri vanno lì a fare il bagno. Appollaiato su di un albero, se tu ogni giorno ne becchi uno, nessuno se ne accorgerà.”

Da quel giorno il numero dei piccioni neri un po’ alla volta incominciò a diminuire. Ogni giorno il falco arrivava all’alba e si appostava nascosto tra le fronde dell’albero. Appena un piccione nero si avvicinava per fare il bagno, gli piombava addosso e, dopo avergli infilato il becco nel collo, se lo gustava allegramente, senza che nessuno se ne accorgesse. Adesso i piccioni aristocratici possono beccare a sazietà. Al mattino essi vanno ad un altro pukura bagnarsi in maniera che il falco, sbagliando bersaglio, non assalti loro.

Ma un bel giorno il falco, stanco di aspettare al lato del pukur, si infastidì. Si chiedeva: “come mai non vengono? Oggi è possibile fare un lavoro alternativo. Vado e mi acquatto al lato di quel pukur lontano. Vediamo come andrà a finire”. Il piccione aristocratico venne a bagnarsi. Il falco gli piombò addosso. “Come mai, bhai? Non mi riconosci?” “Certo che ti riconosco! Ma una così piacevole abitudine non è facile abbandonarla. Poi, vuoi sapere una cosa? Bianchi o neri, per me i piccioni sono tutti uguali!... La stupidità non ha colore”. Ciò detto, il falco gli imbeccò il collo.

di p. Antonio Germano Das, sx.

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