FEDELTA’ ALLA PAROLA DATA

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Favola bengalese che vuol far riflettere

di p. Antonio Germano Das, sx.

4 maggio 2017

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BREVE NOTA SULL’AUTORE. L’autore di queste novelle o racconti, che io sto traducendo dal bengalese, si chiama Lucio Ceci, di origine marchigiana, morto 3 0 4 anni fa. Ha speso tutta la sua vita nell’insegnamento tra gli ultimi: dapprima come missionario saveriano e poi, anche quando si è sposato con una volontaria francese, ha continuato indefessamente fino alla morte la sua missione educativa. Oltre alla raccolta di 500 novelle, sempre sul tema educativo, abbiamo di lui vari libri. Uno dei primi scritto in un bengalese semplice, alla portata di tutti, porta il titolo Bokabolegorib e cioè: poveri perché ignoranti. Un altro, scritto per le donne, porta il titolo Amraomanush e cioè: anche noi siamo esseri umani. Nei suoi primi anni di missione a Borodol, la capitale dei Muci (fuoricasta) nel sud del Bangladesh, aveva scritto per i cristiani di Borodol una sintesi della storia della salvezza dal titolo NutonManusherAbirbhabe cioè: L’avvento dell’Uomo Nuovo (parlo di circa 60 anni fa). E’ un testo ancora molto valido, senza uguali finora qui in Bangladesh, nella narrazione del messaggio della salvezza. Anch’io l’ho adoperato come testo fondamentale nella preparazione dei catecumeni al battesimo. Il metodo educativo usato da Lucio Ceci è quello del golpoe cioè della storiella, così cara al mondo orientale e quindi anche a quello bengalese. Il golpo(la storiella) contiene sempre un messaggio. Nel caso delle novelle o dei racconti, che io sto traducendo, l’autore prende il materiale non solo dal mondo culturale bengalese, ma anche da altri contesti, purché abbiano un messaggio educativo.

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Elsa aveva 7 anni ed il fratellino ne aveva 4. La loro patria era stata sconfitta in guerra. L’esercito nemico si stava avvicinando al loro paese. Il sindaco aveva ordinato che tutti trovassero rifugio nel paese vicino: gli adulti andranno a piedi; il comune manderà un camion per il trasferimento dei piccoli. Sono le 7 del mattino. I genitori di Elsa si avviano con due grosse borse sulle spalle. Un’ora dopo arriva un grande camion colmo fino all’impossibile. Il sindaco dice: “Elsa, vieni e monta su; nel giro di mezz’ora io tornerò e caricherò i piccoli. Tu cerca di persuadere il tuo fratellino a non aver paura.” Elsa si rivolge al fratellino dicendogli: “Fratellino mio, mettiti a dormire; nel giro di un’ora il sindaco o io stessa verremo a prenderti. Non preoccuparti quindi!”

Il camion, a grande velocità, raggiunge il paese vicino e scarica ragazzi e ragazze. Il sindaco, riavviato il motore, sta per ripartire, quando Elsa salta su e gli si siede a fianco. Dice: “Se lei cade in qualche pericolo, chi mi farà riavere il mio fratellino?” Il sindaco abbozza un sorriso, ma non riesce a dire una parola, solo tocca con la mano la bocca della bambina per chiuderla. Il camion riprende di nuovo a correre a gran velocità. Sono appena arrivati al paese, che giunge ai loro orecchi il suono delle mitraglie e scoprono che i carrarmati dei nemici sono nelle vicinanze. Il sindaco ordina al camionista di fermarsi e tornare indietro per sottrarsi ai colpi di mitraglia. Ciò detto, egli scende e comincia a correre per la strada principale. Cento carrarmati stanno arrivando e occupano tutta la strada. Elsa non trova lo spazio per andare avanti. Con le braccia alzate, a squarcia gola, grida: “Lasciatemi passare! Devo andare dal mio fratellino; lasciatemi passare!” Sul suo volto appare tutto: rabbia, pianto, coraggio.

I cento carrarmati si fermano. Elsa incomincia a correre in mezzo ad essi. Dietro vengono i camion dei soldati; anch’essi avanzano lasciando lo spazio; Elsa riprende a correre. Arrivata a casa, grida: “Dai, fai presto, fratellino mio, altrimenti non troviamo più la macchina!” Dietro i camion, seduto su alcune jeep, viaggia lo stato maggiore dell’esercito nemico. Elsa, tenendo per mano il fratellino, si ferma allo scoperto sulla loro strada. Le jeep si fermano. Un signore, vestito elegantemente, si sporge chiedendo: “Che cosa volete?” Elsa risponde: “Signore, vogliamo andare a casa di un nostro zio, ma non ci sono macchine.” L’autista scoppia a ridere, ma il capitano non ride e chiede: “Dove si trova la casa del vostro zio?” I due rispondono a Layton.”Il capitano riprende: “Noi stiamo andando a combattere in un’altra direzione, non possiamo andare a Layton.” Elsa dice: “Il mio fratellino ha fame ed io gli ho promesso che l’avrei portato a casa dello zio. Lei ci porti a casa e poi andrà a combattere!” Col volto sorridente il capitano dice: “Glielo hai proprio promesso? Allora salite, vi porterò a destinazione.”

Per un’ora il combattimento si fermò. Il capitano, scortato da 5 jeep, portò Elsa ed il fratellino e poi fece ritorno. Giunti a destinazione, Elsa disse al fratellino: “Per andare e tornare, mi si è fatto tardi.  Hai avuto paura?” Il fratellino rispose: “Perché avrei dovuto aver paura? Non avevi detto che saresti tornata?

di p. Antonio Germano Das, sx.

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