Stampa 

UNA GARA DI FORZA

Visite: 460

Favola bengalese che vuol far riflettere

di p. Antonio Germano Das, sx.

23 marzo 2017

Back 

L’elefante, impegnato in un dialogo con la tigre, stava dicendo: “L’uomo è il mio nemico. Essi per impadronirsi dei nostri denti, ci danno caccia con i fucili e ci uccidono. Non avrò pace finché non li avrò distrutti tutti”. Dal canto suo la tigre diceva: “L’uomo è anche il mio nemico. Essi stanno distruggendo la mia specie. Per aver salva la vita, dobbiamo rimanere rintanate nella giungla. Per questo neppure per noi c’è modo per sopravvivere. Anch’io lotterò e non avrò pace finché non li avrò distrutti tutti”.

A questo punto si avvicina ai due la mosca, che sussurra: “L’uomo è il vostro nemico; tuttavia finora voi siete riusciti a sopravvivere. A noi, invece, l’uomo non dà modo di sopravvivere. Giorno dopo giorno inventa nuovi veleni e li sparge dappertutto per distruggerci: anch’io mi unirò a voi nella lotta”. L’elefante e la tigre, ridacchiando, dissero: “Oibò! Più grande della bocca è la tua parola! E con quali mezzi pensi di combattere?” In risposta la mosca disse: “Orbene, scegliete tre villaggi e ognuno di noi inizierà a combattere nel villaggio assegnato”.

La tigre e l’elefante, ridendo ridendo, si scelsero tre villaggi. Quella stessa notte la tigre assalì uno dei villaggi. Tutti erano nel pieno del sonno. Penetrata in una capanna, afferrò e sbranò tutti i malcapitati. Ma gli abitanti dell’intero villaggio incominciarono a gridare: “La tigre! La tigre!” E sbucarono fuori con lance e frecce. La notte successiva, dopo avere dato alle fiamme il villaggio, montarono di guardia, mentre i cacciatori continuando a lanciare frecce respinsero la tigre nel cuore della giungla.

L’elefante la prima notte devastò un mucchio di capanne e, calpestando chiunque gli veniva incontro, lo metteva a morte. E così morirono dieci o quindici persone del villaggio. Ma il giorno dopo i cacciatori la inseguirono e la ricacciarono nell’interno della giungla.

Arriva il turno della mosca, che non fa nessuno strepito. Entrando di casa in casa, si adagiava sulla sporcizia. Così, sporca d’immondizia, si posava sui piatti di riso, lasciandovi il germe della malattia. Nel giro di pochi giorni tanta gente morì colpita da diarrea, dissenteria e colera. Nessuno osò incolpare la mosca, che, senza far chiasso, aveva seminato il germe mortale. Nel giro di un mese morì tanta gente che non si trovava più chi scavasse le fosse per la sepoltura.

Alla fine, l’elefante e la tigre, rivolti alla tigre, dissero: “In verità, dobbiamo riconoscere che tu sei la nostra maestra!”

di p. Antonio Germano Das, sx.

Back