Il più grande dolore di OPU

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Favola bengalese che può far riflettere anche qui 

di p. Antonio Germano Das, sx.

20 marzo 2017

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Il papà di Opu è un bravo falegname. Ha un mucchio di amici, ma tra di loro due o tre sono di brutta lega. Infatti sono addetti all’alcol (in Bangladesh, paese quasi interamente musulmano, l’alcol è bandito. Circola di nascosto, ma in maniera molto diffusa. Lo chiamano mod. E’ un estratto alcolico di banane, succo di palma o altro. Per sottolineare la cattiveria di un individuo, si dice “modkhae” e cioè: è un addetto all’alcol) e ne danno da bere anche al papà di Opu.

Un giorno il papà di Opu tornò a casa ubriaco. Dopo di allora, sempre più frequentemente, tornava a casa ubriaco. Opu aveva allora dieci anni. Quando usciva di scuola, il papà lo chiamava in bottega a lavorare. Se non riusciva a tirare su con lui la grande sega, il papà lo picchiava. Alle nove di sera Opu torna a casa dalla bottega. Va per studiare, ma si addormenta sui libri e sul quaderno. Spesso a cena non c’è niente da mangiare, perché il papà scialacqua tutti i soldi dietro al bere. La mamma non ce la fa più a rattoppare i vestiti logori di Opu. Un giorno Opu chiese al papà di comprargli un vestito nuovo. Per tutta risposta si ebbe uno schiaffo sulla faccia e ne portò a lungo il segno. L’anno scorso Opu era uno scolare esemplare. Quest’anno, forse, non sarà promosso. 

Un giorno il suo maestro venne a fare visita alla mamma, che gli raccontò tutto. Il giorno dopo c’erano gli esami mensili. Opu incominciò a svolgere il tema, il cui titolo era: Il mio dolore più grande. Ad Opu non fu necessario pensare tanto e immediatamente cominciò a scrivere: “Il mio dolore più grande cominciò quando mio padre non fu più quello di prima. Un giorno tornò a casa con un volto diverso. Mia madre gli chiese: “Hai portato il riso?” Improvvisamente i suoi occhi divennero rossi dalla rabbia e cominciò a picchiare mia madre. Da quel giorno il mio dolore divenne talmente grande che neppure riuscivo a piangere, perché mio padre non voleva più bene a mia madre, né a me, né ad alcun altro. Da quel giorno non sono più capace di sorridere, né di piangere, perché mio padre è cambiato, non è più quello di prima”.

Il giorno dopo il direttore scolastico, alla fine delle lezioni, ordinò a tutti gli alunni di mettersi in fila. Poi annunciò: “Ho letto i vostri compiti e ne sono rimasto contento. Tra di voi la composizione più bella è risultata quella di OpuKormokar. Per lui io ho comprato in regalo un bel libro di favole. Adesso tutti insieme ci recheremo a casa sua a portare la bella notizia a suo papà”.

Gli alunni erano a conoscenza del dolore di Opu e perciò accolsero la notizia con un gran battimano. Poi insieme al direttore scolastico si recarono alla bottega del papà, che rimase sorpreso a tale vista. Il direttore disse: “Tuo figlio è risultato primo agli esami, puoi essere orgoglioso di lui”. Il papà rimase impalato con un volto di pietra. La settimana scorsa, egli, ubriaco, aveva mollato uno schiaffo sulla guancia di Opu e se ne vede ancora il segno. Quando tutti si allontanarono, egli disse al figlio: “Su, vai a portare la notizia a tua madre”. Poi, entrato in bottega, chiuse la porta. Si mise a sedere ed aprì il libro. Nel libro c’era un foglio con la firma del figlio e la sua composizione. Incominciò a leggerla. Poi rimase chiuso in bottega per tre ore. Nessuno seppe mai cosa fece nel frattempo. Fatto sta che da quel giorno sul volto di Opu non comparve più nessun segno e sulla sua bocca riapparve il sorriso e tornò anche la gioia in famiglia.

di p. Antonio Germano Das, sx.

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