Magister Ioh me fecit MCCLIX

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La campana isernina del 1259

di Mauro Gioielli

02 dicembre 2016

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Lo scorso 27 ottobre, la duecentesca campana della Chiesa di san Francesco a Isernia è stata tolta dal campanile e affidata ai responsabili della Pontificia Fonderia Marinelli di Agnone per essere sottoposta a restauro, al termine del quale verrà esposta nella cappella di sant’Antonio, che è un’ampia navata laterale della stessa chiesa. L’iniziativa del restauro è stata del Rotary Club, di concerto con la Soprintendenza e la Diocesi. Le operazioni di calata al suolo dell’antica campana sono state affidate ad un’equipe composta da alcuni vigili del fuoco e da Pasquale Marinelli con altri operatori della sua fonderia agnonese. Il bronzo presenta evidenti lesioni, che sono state riparate in modo esteticamente inadeguato. Salvatore Aurigemma scrisse che nella «primavera del 1922» la campana s’era «fortemente crinata», aggiungendo che essa «misura m. 0,77 di diametro alla bocca, ed ha un’altezza di m. 1,09 compresi gli anelli di presa alti m. 0,17)». Nella fascia che cinge la parte superiore del manufatto, è stata scolpita la scritta: Rip. il 16-IX-1932 – A/X [riparata il 16 settembre 1932, anno X dell’era fascista]. 

Fusa nel 1259. La campana della Chiesa di san Francesco è stata fusa nel 1259, com’è indicato nell’iscrizione a rilievo che si trova all’interno della fascia anellare che attornia la circonferenza della zona bassa: Mentem. Scam. Spontaneã Honorē Dei. Et Patrie Liberationem. Magister Ioh Me Fecit MCCLIX. Per coloro che in passato si sono interessati alle parole latine leggibili su questa campana, la prima parte (Mentem scam spontaneã honorē Dei et patrie liberationem) è risultata solo parzialmente comprensibile. In realtà è una frase molto nota, conosciuta come “Epitaffio di sant’Agata”, riscontrabile in un numero altissimo di campane medievali (in pochi giorni ne ho censito più di trenta). La seconda parte dell’iscrizione, invece, è traducibile in modo quasi elementare (Magister Ioh me fecit MCCLIX – Mastro Giuseppe [o Giovanni] mi fece nel 1259), anche se qualche dubbio è nato intorno al nome di battesimo del fonditore. Molti ritengono che quel Ioh stia per Iohannes (Giovanni); altri, però, propendono per Ioseph (Giuseppe). In effetti, Giovanni in latino si trova riportato prevalentemente senza l’acca; ne sono prova i nomi assunti dai pontefici Ioannes Paulus I (Luciani) e Ioannes Paulus II (Wojtyla). Nel caso in esame, quindi, le tre lettere di Ioh potrebbero essere le due vocali iniziali e l’acca finale del nome Ioseph. Fu di tale avviso Stefano Jadopi, allorché nel 1858, annotando notizie su Isernia e sulla chiesa duecentesca di san Francesco, scrisse: «La maggior campana fu fusa lo stesso secolo [...], secondo è scritto al contorno – Mentem Sanctam spontaneam ad honorem Dei et patrie liberationem. Magister Joseph me fecit MCCLIX». 

Sant’Agata. Nel medioevo, i fonditori scelsero sant’Agata come loro protettrice, apponendo spesso sulle campane l’epitaffio che un angelo collocò nel sepolcro della martire siciliana: Mentem sanctam spontaneam honorem Deo et patriae liberationem (Mente santa, spontaneo onore a Dio e liberazione della patria). Non a caso, queste parole latine si trovano impresse sulla tavoletta che sta nella mano sinistra del busto della santa che si venera a Catania, città di cui è patrona e che da sempre ella protegge contro ogni calamità: eruzioni vulcaniche, terremoti, incendi, intemperie. Sant’Agata è ricordata soprattutto per le mammelle che le furono strappate con delle tenaglie; ma la tradizione agiografica racconta che il suo martirio avvenne in una «leggendaria fornace» dove patì molteplici «bruciature con lamine roventi» e infine venne condanna ad essere «arsa viva sui carboni ardenti». Questo rapporto col fuoco e con gli oggetti incandescenti sembra essere alla base del patronato che la legò ai fabbricanti di campane che, com’è noto, lavorano in mezzo alle alte temperature delle fusioni. Viepiù, le colate dei fonditori ricordano in modo evidente le colate laviche dell’Etna che la santa, durante i secoli, ha più volte frenato miracolosamente per salvare Catania e i catanesi, come accadde nel 252, nel 1444, nel 1669 e altre volte ancora. A sant’Agata si attribuisce anche un patronato antitempestatario, che sicuramente ne ha accresciuto la devozione fra i maestri campanari. Infatti, per antichissima consuetudine popolare, le campane venivano suonate a martello per allontanare le nuvole nere, portatrici di fulmini e temporali; più in generale venivano usate per avvertire d’un incombente pericolo. Notizie utili su tale argomento si trovano in un volume settecentesco scritto dal canonico Marco Antonio de’ Mozzi, riguardante una chiesa la cui torre aveva «due Campane di mezzana grandezza, la minore delle quali antichissima essere dimostra dalla sua foggia e struttura; e nell’altra maggiore, pure antica, si leggono nella sua fascia inferiore queste parole scritte in carattere gotico: + S. Criscus S. Cerbonius orate pro nobis. Deo + Mentem scam spontaneam onorem Dei et patrie liberatorem (forse liberationem) e nella fascia superiore si legge parimente dello stesso carattere: M. Antonius de Tarusis me fecit a. D. Mcccl tpre d.p. Blasii + e sotto a questa inscrizione si vede una Croce, detta comunemente di S. Agata, e uno scudo, entrovi due Rose, o Palle, che elle si sieno, divise da una sbarra, e accanto al medesimo due cifre, che spiegano il nome dello stesso fonditore. E perciocché somigliante inscrizione potrebbe per avventura sembrare oscura, l’anderemo brevemente spiegando. Primieramente cosa nota è, l’uso dell’inscrizioni antichissimo essere, e molto praticato nelle Campane, tanto colle Prose, quanto co’ Versi, come fede ne fa Monsignor Angelo Rocca nel suo celebre latino Comentario delle stesse Campane, dove da lui sono molti antichi e moderni esempi rapportati. Or queste parole Mentem Sanctam & c. le quali non di rado ne’ Sacri Bronzi si leggono, e le quali a prima fronte senza alcuno ordine, e senza verun suono di sentimento appariscono, non sono poi certamente tali nella sostanza loro, perciocché, siccome racconta S. Antonino nelle sue Storie, furono questi oscuri caratteri portati scolpiti entro ad un Marmo da uno Spirito Celeste, e dallo stesso, vicini al Capo della Santa Vergine, e Martire insieme Agata, per gloria della medesima collocati: ecco le parole del Santo, dalle quali si verrà in chiaro del sentimento delle altre citate di sopra: Ecce subito Angelus in forma Juvenis, albis induti, attulit Tabulam marmoream, & posuit ad caput ejus, in qua haec verba sculpta erant: Mentem Sanctam; scilicet habuit: Spontaneam; scilicet se obtulit: Honorem Deo; scilicet dedit: Et Patria liberationem; scilicet fecit. E veramente tutto questo sacro sentimento spiegato da questo dottissimo Santo, s’avverò nelle grandi e gloriose azioni di S. Agata, la quale, oltre alla nobile e forte testimonianza di Gesù Cristo, che Ella diede col suo medesimo Sangue, liberò la sua Patria, non con altro che col Velo che il suo Sepolcro ricopriva, da quella vastissima inondazione di fiamme, minacciatale dal Monte Etna: e per questa ragione si mette somigliante inscrizione nelle Campane, acciocché pe’ meriti di questa Eroina del Paradiso, siano, al suono delle medesime, da’ folgori liberati, e dalle tempeste: e questo viene chiaramente dimostrato dal sopraccitato dottissimo Angelo Rocca; il quale pure nella stessa soprammentovata Opera, favellando di questo costume, così scrisse: Propterea factum reor, ut ipsa inscriptio Campanis incidi soleat, ad fulgura, seu potius ignea fulmina propulsanda, tempestatesque expellendas, dum Campanae, ad hanc item rem praestandam, consecratae, pulsantur». Dopo queste pertinenti considerazioni, Marco Antonio de’ Mozzi chiuse compiacendosi per «l’avere dimostrato, come cosa convenevole era, [che] le parole della sopraddetta campana non essere state in essa adoperate senza un’antica costumanza e senza un grave mistero». 

di Mauro Gioielli